LO SCOMPENSO CARDIACO:
COME PREVENIRLO, COME CURARLO
A. Boccanelli
Nel 1933 Sir Thomas Lewis affermò che l’essenza della medicina cardiovascolare era il riconoscimento precoce dello scompenso cardiaco (SC). Il problema si fa al giorno d’oggi tanto più importante quanto più stiamo assistendo all’aumento dell’attesa di vita e all’incremento dell’età media della popolazione. È prevedibile che nei prossimi decenni la popolazione degli ultrasessantacinquenni sarà quella prevalente. Le dimensioni del problema in Italia sono le seguenti:
1) la prevalenza generale dello SC è dell’1-2 %,
2) la prevalenza al di sopra dei 60 anni varia dal 3 al 13 %
3) la popolazione affetta da SC è di circa 1.000.000 di abitanti
4) la popolazione affetta da SC al di sotto dei 60 anni è circa 300.000 persone
5) i ricoveri ospedalieri annuali per SC sono circa 200.000.
6) un medico di medicina generale che abbia 1000-1500 assistiti avrà in media 20 pazienti affetti da SC.
Il ritratto del paziente con SC è quello di un paziente con età media di 70-75 anni, l’eziologia prevalente è ischemica, i pazienti con pregresso infarto sono circa 1/3, gli ipertesi 2/3, le patologie associate sono presenti in circa 1/3 dei paziente e la politerapia con più di due farmaci è presente in circa il 75 % della popolazione con scompenso.
Altri numeri che rendono conto dell’importanza di questa patologia sono quelli sotto indicati:
1) la mortalità generale è di circa il 10 %
2) la mortalità dei pazienti da asintomatici a gravi varia dal 30 al 30 % per anno,
3) la probabilità di ricovero per SC è di circa il 20 % per anno
4) la durata media della degenza in ospedale è di 9 giorni
5) la mortalità intraospedaliera è del 7 %
6) la mortalità a 6 mesi dal ricovero è circa 15 %
7) è prevedibile un nuovo ricovero a 6 mesi nel 45 % dei casi
La sopravvivenza quindi per lo SC, una volta formulata la diagnosi, è pari a quella dei più comuni tumori, quali quello del seno, della prostata e del colon.
Nonostante l’importanza epidemiologica e la rilevanza clinica di questa patologia il livello di consapevolezza da parte della popolazione e anche della classe medica è relativamente modesto.
La pubblica opinione non sa mediamente cosa sia lo SC, solo 3 persone su 10 lo considerano una malattia grave, 7 su 10 lo ritengono meno maligno dei tumori o dell’HIV e comunque meno frequente. In molti ritengono che lo scompenso sia una normale conseguenza dell’invecchiamento.
Il rischio che ciascuno di noi ha di sviluppare SC per tutta la vita è di circa il 20 %.
I principali fattori di rischio per SC sono i seguenti:
Lo SC pertanto condivide con la coronaropatia aterosclerotica molti dei fattori di rischio. Ipertensione arteriosa, obesità dislipidemia, diabete, abitudine al fumo possono portare allo SC direttamente o attraverso lo sviluppo di cardiopatia ischemia, infarto miocardico e perdita di tessuto contrattile.
Il nostro gruppo ha condotto nel Lazio lo studio PREDICTOR, volto a valutare la prevalenza della disfunzione ventricolare sinistra e dello SC in 2000 persone prese dalle liste anagrafiche di età superiore ai 65 anni distribuite ugualmente per sesso. In questa popolazione la dislipidemia era presente nel 52%, l’ipertensione nel 50 %, le malattie cardiovascolari di qualsiasi genere erano presenti nel 26 % e delle comorbidità importanti nel 55,8 % .
Si comprende pertanto come i fattori di rischio per SC siano fortemente diffusi all’interno della popolazione generale.
Nella popolazione esaminata all’interno dello studio PREDICTOR il 22,2 % aveva globalmente dei fattori di rischio predittivi di SC, il 59 % aveva qualche forma di disfunzione ventricolare sinistra e il 6,7 % aveva una situazione di SC clinicamente manifesto.
Si comprende pertanto come la prevenzione dello SC, in considerazione dell’elevato tasso di mortalità e morbilità, sia il provvedimento più efficace per evitare la comparsa di una situazione clinica così importante dal punto di vista della prognosi e dell’impatto sul sistema sanitario.
Il ricorso ad indagini diagnostiche, deve essere innescato dal medico di medicina generale, in relazione al profilo di rischio di sviluppo di SC della situazione dei propri assistiti. È bene far sottoporre i pazienti con esiti di infarto miocardico, ipertrofia ventricolare sinistra, diabetici, o pazienti con cardiopatia ischemica cronica o insufficienza renale, con malattia valvolare, in chemioterapia, con familiarità per cardiomiopatia a studio ecocardiografico, controllando questa indagine in serie nel tempo per verificare la presenza di disfunzione ventricolare sinistra asintomatica ed evitare la sua progressione verso lo SC.
Ciascuna fase dello SC ha i propri provvedimenti.
Nello stadio “A” (il paziente ad alto rischio asintomatico)l’obiettivo è quello della riduzione dei fattori di rischio, dell’educazione del paziente e dei familiari, il trattamento dell’ipertensione, del diabete e della dislipidemia e si può ricorrere in questi casi ad ace-inibitori o sartanici.
Nello stadio “B” (situazione con alterazioni strutturali della pompa cardiaca in pazienti asintomatici) i trattamenti consigliati sono quelli con ace-inibitori o sartanici, β-bloccanti.
Nello stadio “C” (cardiopatia sintomatiche) dieta iposodica, diuretici, digitale, terapia chirurgica conservativ, terapia di risincronizzazione cardiaca e assistenza multidisciplinare, sono i pilastri sui quali si basa il trattamento.
Nello stadio “D” (paziente con sintomatologia refrattaria ai comuni provvedimenti farmacologici) sono previsti farmaci inotropi, sistemi di assistenza ventricolare fino al trapianto cardiaco o in casi intrattabili terapia palliativa.
Nel tempo è cambiato il modo di vedere dal punto di vista fisiopatologico ai meccanismi che portano allo SC e di conseguenza sono cambiati i concetti che hanno portato alla scelta delle terapie.
Agli albori della impostazione della terapia farmacologica dello SC, circa 40 anni fa, il modello cardiorenale prevedeva l’uso dei diuretici, quello cardiocircolatorio l’uso di inotropi e vasodilatatori.
Nel corso degli anni 80 e 90 si è sviluppato il modello neurormonale che si poneva come obiettivo la prevenzione della progressione della malattia attraverso l’uso di farmaci ace-inibitori e β-bloccanti a cui si sono aggiunti i nuovi antagonisti del sistema renina-angiotensina-aldosterone, come l’uso di sartani e degli antialdosteronici.
L’obiettivo della terapia oggi è quello non solo di prevenire la progressione dello scompenso terapia ma cercare di invertirne l’evoluzione cambiando il fenotipo. Questo può essere perseguibile con la terapia genetica o con altre strategie antirimodellamento, anche chirurgiche.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica, possiamo quindi affermare che la terapia dello SC sia iniziata veramente negli anni 70 con la dimostrazione sempre più forte dell’efficacia dei farmaci che inibiscono il sistema renina-angiotensina-aldosterone. Dal 1990 in poi i farmaci inibitori recettoriali dell’angiotensina si sono dimostrati parimenti efficaci rispetto agli ace-inibitori, potendoli sostituire in caso di intolleranza. L’epoca d’inizio del trattamento β-bloccante dello SC è a cavallo degli anni 80-90 con progressiva dimostrazione della utilità di farmaci quali bisoprololo e metoprololo e carvedilolo nell’uso clinico. Gli antialdosteronici hanno avuto una dimostrazione della loro utilità come farmaci per la prevenzione del rimodellamento a partire dall’inizio di questo secolo.
La nuova terapia per lo SC comprende l’uso di farmaci bradicardizzanti come la ivabradina.
Due condizioni non sono sufficientemente codificate dalle Linee Guida e sono affidate a trattamento prevalentemente empirico. La prima di queste due è lo SC acuto, in cui i livelli di evidenza che hanno fatto entrare i farmaci nelle Linee Guida sono mediamente inferiori a quelli dello SC cronico. Fanno parte della famiglia dei farmaci utilizzati nello SC acuto i diuretici, i nitrati, il nitroprussato di sodio, la dopamina e la dobutamina, gli inibitori della fosfodiesterasi, il levosimendan. Tutti questi farmaci possono essere utilizzati in contesti clinici e situazioni diverse ed il loro utilizzo fa parte dell’esperienza dello specialista.
Un altro settore in cui le Linee Guida soccorrono relativamente poco è quello della insufficienza cardiaca diastolica, in quanto nessun trattamento al giorno d’oggi ha dimostrato in maniera convincente di ridurre la morbilità e mortalità in pazienti di questo genere. Nello SC diastolico la terapia bradicardizzante con β-bloccanti e anche con Verapamil si è dimostrata efficace.
La terapia e con ace-inibitori e sartani si è dimostrata parimenti efficace ma senza raggiungere livelli di evidenza dello SC sistolico.
Per quanto riguarda la terapia dei pazienti in stadio C, ovvero con cardiopatia strutturale e SC in atto o pregresso, le Linee Guida prevedono per quanto riguarda i β-bloccanti, che solo l’uso del bisoprololo, del carvedilolo, del metoprololo e nebivololo possa essere raccomandato. Tra i β-bloccanti è utilizzato il metoprololo succinato e non il metoprololo tartrato.
Per quanto riguarda gli inibitori recettoriali dell’angiotensina, questi sono considerati di pari efficacia rispetto agli ace-inibitori nei pazienti con infarto miocardico acuto con segni di SC o disfunzione ventricolare sinistra, hanno una pari efficacia nei pazienti con SC cronico e sono pertanto una buona alternativa agli ace-inibitori nei pazienti sintomatici che non tollerano gli ace-inibitori per migliorare morbilità e mortalità.
Gli inibitori recettoriali dell’aldosterone sono raccomandati in aggiunta agli ace-inibitori e β-bloccanti nello SC dopo infarto miocardico con disfunzione sistolica e segni di SC. Recentemente, lo studio EMPHASIS ha dimostrato che nei pazienti con SC sistolico e sintomatologia lieve (classe NYHA II) l’aggiunta di esplerenone è ben tollerata, migliora la sopravvivenza, riduce le ospedalizzazioni e questo ha fatto si che nelle recenti Linee Guida l’esplerenone sia stato messo tra i farmaci in classe 1 per il trattamento dello SC in pazienti paucisintomatici.
Lo studio SHIFT ha dimostrato che il nuovo farmaco bradicardizzante ivabradina può essere una valida opzione in pazienti intolleranti ai β-bloccanti con frequenza cardiaca uguale o superiore a 70 bpm, in pazienti intolleranti a dosi adeguatamente bradicardizzanti di β-bloccante, in pazienti che siano persistentemente tachicardici malgrado dosi massimali di β-bloccanti. L’ivabradina potrebbe pertanto essere una opzione alternativa in alcuni pazienti come anziani, oppure pazienti con polipatologie che manifestano a dosaggi efficaci di beta-bloccante una significativa limitazione funzionale ed una qualità di vita non soddisfacente.
L’obiettivo della terapia con ivabradina è quello di raggiungere una frequenza cardiaca inferiore ai 70 bpm e questo dovrebbe essere perseguito nella maggior parte dei pazienti con SC sistolico con una titolazione sistematica della terapia β-bloccante. Se l’obiettivo con i β-bloccanti non può essere raggiunto l’ivabradina può completare l’effetto di bradicardizzazione necessario.
Per quanto attiene la terapia di re sincronizzazione, quest’ultima ha trovato nelle Linee Guida della Società Europea di Cardiologia dello scorso anno (voce 2 )un allargamento delle indicazioni. Pertanto oggi la terapia di resincronizzazione cardiaca è raccomandata in pazienti a ritmo sinusale con classe funzionale II in pazienti con frazione di eiezione persistentemente ridotta in terapia ottimale farmacologica che abbiano un ritmo sinusale con durata del QRS≥130 msec, in pazienti con morfologia del QRS tipo blocco di branca sinistra e frazione di eiezione uguale o superiore al 30 % che abbiano una attesa di vita superiore ad un anno in buono stato funzionale. La terapia si è dimostrata efficace nel ridurre il rischio di ospedalizzazione e la morte.
L’impianto di defibrillatore va considerato nella maggior parte dei casi dei pazienti sottoposti a terapia di resincronizzazione. Secondo le Linee Guida Europee, l’impianto di defibrillatore è ragionevole in pazienti selezionati con FE≥30-35 %, dopo 40 giorni dall’infarto miocardico e in terapia ottimale con ace-inibitori, sartani, β-bloccanti e antialdosteronici dove questa terapia venga ritenuta appropriata.
Nello SC avanzato, il trapianto cardiaco è considerato il golden standard, ma è disponibile solo per una minoranza di pazienti (nel 2011 i pazienti con trapianto cardiaco in Italia sono stati 278). I pazienti in lista per trapianto cardiaco hanno un lungo tempo di attesa, decisamente superiore a quello dei pazienti che arrivano al trapianto cardiaco. Questi pazienti hanno una qualità di vita scadente con mortalità annua dell’8-10%; inoltre un altro 10-15 % viene rimosso ogni anno dalla lista d’attesa perché non più idoneo al trapianto.
I sistemi di assistenza ventricolare (VAD) si sono recentemente evoluti dimostrandosi efficaci nel migliorare la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con SC avanzato e possono rappresentare una valida alternativa al trapianto cardiaco, costituendo una strategia raccomandata dalle nuove Linee Guida della Società Europea di Cardiologia. Negli Stati Uniti un numero maggiore di Centri rispetto a quelli Europei ha iniziato ad applicare una strategia più estensiva di impianto dei sistemi di assistenza ventricolare per i pazienti che soddisfano i criteri clinici per la candidatura a trapianto cardiaco. I risultati attuali dell’impianto di sistema di assistenza ventricolare (sopravvivenza nel 75 % ad un anno e del 67 % a due anni nelle casistiche internazionali) aprono una nuova strategia di trattamento nei pazienti con SC avanzato.
I pazienti con scarsa probabilità di accesso al pool dei donatori (ad esempio per peso elevato per età superiore ai 60 anni) potrebbero giovarsi di un trattamento con sistemi di assistenza ventricolare rispetto a rimanere in attesa di trapianto cardiaco con la prospettiva di un deterioramento progressivo che potrebbe anche farli togliere dalla lista di trapianto. Il trapianto pertanto potrebbe essere riservato ai pazienti nei quali ci si può attendere il massimo beneficio, come ad esempio i soggetti giovani privi di comorbidità.
I sistemi di assistenza meccanica si possono suddividere a seconda dell’obiettivo:
Nelle attuali Linee Guida Europee le indicazioni ad impianto di dispositivi di assistenza ventricolare sinistra includono i pazienti con sintomi gravi nonostante terapia medica ottimale (compresi i dispositivi) e più di una delle seguenti caratteristiche:
- frazione di eiezione del ventricolo sinistro inferiore al 25 % e se misurato il picco di VO2 questo deve essere inferiore a 12 ml/Kg/min
- tre o più ospedalizzazioni nei 12 mesi precedenti senza cause precipitanti
- dipendenza dalla terapia inotropa
- progressiva disfunzione epatorenale secondaria a ipoperfusione ad aumentate pressioni di riempimento ventricolare
- iniziale deterioramento della funzione ventricolare destra.
È raccomandabile che questi apparecchi vengano impiantati soltanto e gestiti in Centri terziari per lo SC con personale appropriatamente preparato e idealmente questi centri dovrebbero essere gli stessi idonei per trapianto cardiaco.
Esiste pertanto una prospettiva di trattamento a lungo termine con i sistemi di assistenza circolatoria di nuova generazione anche nei pazienti anziani, non candidabili al trapianto purché fortemente motivati ed in assenza di importanti comorbidità.
Per quanto riguarda la terapia con cellule staminali, questa dovrebbe essere finalizzata a diminuire il livello di apoptosi, favorire l’angiogenesi e la conservazione del miocardio attraverso la rigenerazione miocitaria e la riduzione dell’espansione dell’infarto. L’obiettivo dell’impianto delle cellule staminali dovrebbe essere l’attenuazione o la inversione del rimodellamento ventricolare sinistro con conseguente miglioramento della funzione ventricolare. Esistono comunque troppi problemi non risolti in questo contesto, ovvero quali siano le malattie che se ne potrebbero giovare di più, a quale stadio, con quali cellule, con quale metodica di somministrazione. Esistono inoltre dubbi sulla sicurezza a lungo termine di questa strategia. Pertanto la situazione corrente relativamente al problema delle cellule staminali è che, nonostante l’elevato numero di pubblicazioni, è ancora elevato il numero dei problemi non risolti e i trial che sono alla base della loro utilizzazione sono relativamente piccoli rispetto a quelli necessari per dimostrarne la reale efficacia.
Infine occorre dire che per la terapia dello SC deve essere inserita in una rete integrata di servizi. La “terapia organizzativa” dello SC prevede la presenza di un centro di riferimento, che può essere un Ospedale o un ambulatorio dedicato dotato di Day Hospital o di Day Service, di Laboratorio di Emodinamica a cui possa far riferimento il medico di medicina generale, l’Ospedale Periferico, l’Assistenza Domiciliare, l’Assistenza Riabilitativa, il Poliambulatorio Territoriale e altri Poliambulatori Ospedalieri.
Le strategie di trattamento dello SC non possono prescindere da questi aspetti organizzativi.
Bibliografia essenziale
Mureddu GF, Agabiti N, Rizzello V, et al. Prevalence of preclinical and clinical heart failure in the elderly. A population-based study in central Italy. European Journal of Heart Failure 2012; 14(7):718-729
Direttore Dipartimento per le Malattie dell’Apparato Cardiovascolare
Az. Osp. S. Giovanni Addolorata
Tel.06/77055399