LA PROTEOMICA COME STRUMENTO CLINICO
*Gabriella BIANCHINI; *Barbara RUGGIERO; § Marina BORRO; § Maurizio SIMMACO.
* Dipartimento di Scienze Cliniche. Università “La Sapienza” di Roma.
§ Laboratorio di Diagnostica Molecolare Avanzata dell’Ospedale S. Andrea – 2a Facoltà di Medicina e Chirurgia- Università “La Sapienza “ di Roma
RIASSUNTO
Una paziente di 56 anni con nefropatia da BKV, dopo il ritorno in dialisi, per circa 20 gg sviluppa nelle urine appena emesse un coagulo gelatinoso e trasparente. Il fenomeno scompare dopo l’espianto del rene trapiantato. Le tecniche della proteomica applicate alla caratterizzazione del coagulo hanno permesso di identificare le proteine in esso presenti: Tamm-Horsfall (THP), anidrasi carbonica I e II , fibrinogeno alfa e beta edemoglobina. Gli autori discutono la possibilità che la proteina di THP possa fungere da recettore per il BK virus sulle cellule produttrici della THP e che questa proteina svolga un ruolo patogenetico nello sviluppo della nefropatia da BK virus.
Parole chiave:
trapianto di rene, BKV, nefropatia da BKV, recettore per il BKV, proteina di Tamm-Horsfall, proteomica.
INTRODUZIONE
La nefropatia da BKV (BKVN) si verifica quasi esclusivamente nel rene trapiantato e provoca frequentemente la perdita di funzione dell’organo. Non sono ancora noti i recettori né i meccanismi con cui il virus provoca la nefropatia.
Viene di seguito descritto un caso di BKVN associato ad un singolare fenomeno: la ripetuta comparsa, nelle urine appena emesse, di un coagulo gelatinoso. L’analisi di tale formazione tramite tecniche proteomiche ha consentito di identificare le proteine presenti nel “coagulo”.
Il termine «proteoma» fu coniato nel 1994 da Marc R. Wilkins, per definire il complemento proteico codificato da un genoma. La proteomica intende studiare le funzioni di tutte le proteine espresse in una determinata cellula, tessuto, organismo o fluido biologico, incluse le loro isoforme e modificazioni post-traduzionali. A questo scopo vengono impiegate disparate tecnologie, come la classica elettroforesi bidimensionale, la spettrometria di massa, la cromatografia, il microarray per proteine, la bioinformatica. Poiché il grado di complessità e dinamicità del proteoma risulta enormemente elevato, le sue applicazioni in campo clinico presentano notevoli difficoltà; ciononostante sono in continua evoluzione le metodiche proteomiche che mirano alla scoperta e alla valutazione di nuovi biomarker (1, 2).
Il caso presentato rappresenta un paradigma di come alcune tecniche proteomiche possano essere adattate alle esigenze della pratica clinica: nella fattispecie, l’utilizzo di un sistema di elettroforesi bidimensionale su mini-gel accoppiata alla spettrometria di massa MALDI-ToF, consente un’analisi rapida (effettuabile in pochi giorni) di campioni biologici semplici e fornisce informazioni su caratteristiche del paziente non rilevabili tramite tecniche standard di analisi cliniche. Tali informazioni sono potenzialmente utili sia nel chiarire il quadro clinico dell’individuo, sia nell’individuazione di nuovi pattern proteici correlabili a particolari stati patologici. Nel caso presente, consentono di formulare delle ipotesi sui meccanismi patogenetici della BKVN e sui recettori del virus.
DESCRIZIONE DEL CASO CLINICO
Barbara Ruggiero
Specializzanda presso la 1° Scuola di Specializzazione in Nefrologia dell’Università di Roma “La Sapienza”
Donna di 56 anni con IRC da rene policistico, sottoposta nel dicembre 2004 a trapianto di rene da cadavere. In seguito al trapianto, la ripresa della diuresi si è verificata soltanto dopo 20 giorni, la creatinina si è stabilizzata intorno a 2 mg/dl con una clearance creatinina pari a 25 ml/min. La terapia antirigetto alla dimissione consisteva in: prednisone 15 mg/die, tacrolimus 0,5 mg x 2 /die. Successivamente si è registrata la comparsa di diabete mellito insulino-dipendente. Nel settembre 2005, il tacrolimus è stato sostituito da micofenolato a causa di un aumento delle transaminasi; un’ecografia epatica ha messo in evidenza una calcolosi della colecisti. Nel dicembre 2005 è stata effettuata colecistectomia. Gli anticorpi anti HCV risultarono positivi. Per motivi imprecisati nel luglio 2006 il micofenolato è stato sostituito con l’ acido micofenolico e nel settembre 2006 il sirolimus è stato sospeso. Nel luglio 2006 la creatinina era 2 mg %, clearance creatinina era 25 ml/min.
Il 19 settembre 2006 per dispnea, oliguria ed edemi diffusi si ricoverava. La terapia immunosoppressiva all’ingresso era: acido micofenolico 360 mg x 2, prednisone 10 mg.; la PA era 160-80 mmHg , la creatininemia 3,9 mg/dl, la clearance della creatinina 13 ml/min; l’esame delle urine mostrava al sedimento una microematuria ed alcune cellule tubulari. Il 27 settembre 2006 la creatininemia era 7,1 mg/dl, la clearance della creatinina a 7 ml/min; nell’ipotesi di un rigetto acuto, si sono effettuati boli di metilprednisolone di 500 mg/die e la biopsia del rene trapiantato. Il referto dell’esame istologico è di seguito riportato:
“Edema diffuso e diffusa infiltrazione emorragica dell’interstizio con presenza di polimorfonucleati e più del 40% di plasmacellule. I tubuli (atrofici per circa il 30%) presentano diffuso ispessimento delle membrane basali e mostrano focale degenerazione e necrosi dell’epitelio. I glomeruli presentano moderato incremento della matrice mesangiale accompagnato da ispessimento focale e segmentale delle membrane basali. Diffuso l’ispessimento fibroso della capsula del Bowman. Le sezioni arteriose presenti mostrano fibroplasia ed elastosi intimale di grado moderato-severo. La ricerca per C4d ha dimostrato debole positività non significativa su rari capillari intertubulari. I reperti descritti sono compatibili con un quadro di nefrite tubulo-interstiziale acuta verosimilmente riferibile a patologia infettiva. Sulla base dei soli reperti morfologici sembra meno verosimile l’alternativa o la concomitanza di un rigetto di tipo umorale. Coesiste una nefropatia cronica da trapianto di grado moderato.”
Il dosaggio degli anticorpi anti-HLA di I e II classe del donatore risultava negativo. Poiché anche la ricerca per la viruria per il BK effettuata il 5 ottobre 2006 risultava positiva (13.272 copie /ml) si poneva diagnosi di nefropatia da BK virus (BKVN) ed il 9 ottobre veniva ridotta la terapia immunosoppressiva (acido micofenolico: da 360 mg x 2 a 360 mg/die; prednisone: da 10 mg a 5 mg/die). Per la persistenza della riduzione della funzione renale, il 6 Ottobre riprendeva l’HD.
Il 12 Ottobre iniziava macroematuria; l’esame urine mostrava: pH 7,5, Hb +++, un tappeto di emazie eumorfiche, numerosi leucociti ben conservati. Tutti gli esami effettuati per la valutazione della ematuria (ecografia renale e vescicale, TAC addome e pelvi, esame citologico urinario, ripetute urinocolture) risultarono negativi. Poiché, nonostante la riduzione della terapia immunosoppressiva, il 12 ottobre 2006 nelle urine erano presenti 372.000 copie/ml di BKV, il 18 ottobre iniziava terapia con Cidofovir e.v. (0,3 mg/Kg/die) ogni 2 settimane per 3 volte e il 31 ottobre sospendeva definitivamente l’acido micofenolico e riduceva il prednisone a 2,5 mg/die.
Mentre persisteva la macroematuria, il 4 novembre iniziava febbre, prima intermittente e poi continua, con valori tra 39 e 40°C. La VES aumentava fino a 120. Compariva anche diarrea e le condizioni generali della paziente cominciavano a scadere. La PCR per il DNA del CMV, ripetute emocolture, coprocolture, urinocolture risultarono sempre sterili. A fine novembre la viruria da BKV era di 79.000.000 copie/ml e la viremia era di 1.100.000 copie/ml. L’esame urine a fresco mostrava ripetutamente pH 8, prot +++, Hb +++, numerose emazie, e abbondanti strie di “muco”. Per il peggioramento delle condizioni generali, la persistenza della febbre elevata e della macroematuria si prendeva in considerazione l’ipotesi dell’espianto del rene trapiantato.
Gli ultimi giorni di novembre, compariva nelle urine appena emesse e mantenute a temperatura ambiente (20-25°C), un insolito fenomeno consistente nella formazione di un coagulo gelatinoso che scompariva sia in termostato (37°C) che in frigorifero (4°C). Il coagulo rappresentava il 40-50 % del volume urinario. Il fenomeno si ripeteva pressoché ad ogni minzione e soltanto raramente era sostituito dalla formazione di grossolani tralci mucosi. La diuresi in questo periodo variava tra i 200-300 cc.
Il 7 dicembre compariva dolore nella fossa iliaca destra, sede del rene trapiantato. Il 12 dicembre una scintigrafia con leucociti marcati con 111In mostrava: “diffusa concentrazione delle cellule marcate esclusivamente nell’ambito del rene trapiantato da riferire in prima ipotesi ad infiltrato flogistico.” Interpretando lo scadimento delle condizioni generali, la febbre, il dolore nella sede del rene trapiantato e l’ematuria come manifestazioni dell’infezione da BKV, il 18 dicembre veniva effettuato l’espianto del graft. L’esame macroscopico ed istologico dell’organo mostrava: “Rene aumentato di volume di colorito grigio-cianotico. E’ presente, inoltre, una formazione cistica sottocorticale delle dimensioni di 1 x 0,7 cm repleta di materiale gelatinoso, trasparente. Sono presenti zone di tessuto renale corticale necrotico associate ad emorragie subcapsulari. L’esame istologico conferma i dati descritti dalla biopsia renale”.
Subito dopo l’espianto del rene le condizioni generali miglioravano, la febbre, l’ematuria e il fenomeno del coagulo scomparivano. Attualmente, le condizioni generali sono buone e la paziente è in lista per un nuovo trapianto.
ANALISI PROTEOMICA
Maurizio Simmaco
Prof. Ordinario di Biochimica e Biologia Molecolare, II Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università “La Sapienza” – Roma
Un campione di urine contenente un coagulo (fig. 1) è stato inviato, a temperatura ambiente, nel laboratorio di Diagnostica Molecolare Avanzata dell’Ospedale Sant’Andrea, allo scopo di caratterizzarne il contenuto proteico. Ciò è stato possibile effettuando la separazione elettroforetica su due dimensioni (prima in base al punto isoelettrico delle proteine, quindi in base alla loro massa molecolare) della miscela proteica. Tale procedura consente di visualizzare una “mappa” delle proteine presenti in un dato campione biologico che può essere confrontata, con l’ausilio di metodiche bioinformatiche, con mappe derivate da campioni diversi.
Nel caso presentato, la mappa delle proteine presenti nel coagulo è stata confrontata con quella derivata dall’esame della frazione di urine non coagulata, evidenziando la presenza nel coagulo di alcune specie proteiche non presenti nell’urina libera (Tabella 1, fig.2). Utilizzando la spettrometria di massa abbiamo potuto identificare queste proteine come: proteina Tamm Horsfall, fibrinogeno, anidrasi carbonica ed emoglobina.
Le tecniche proteomiche utilizzate sono descritte in dettaglio nella sezione seguente.
Fig. 1. Coagulo formato nelle urine della paziente
Proteina |
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1 |
Proteina Tamm Horsfall |
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2 |
Fibrinogeno catena alfa |
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3, 4 |
Fibrinogeno catena beta |
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5, 6 |
Fibrinogeno catena alfa (frammento D) |
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7 |
Anidrasi carbonica I |
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8 |
Anidrasi carbonica II |
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9 |
Emoglobina subunità beta |
Tabella 1
Materiali e metodi
Analisi proteomica
Una piccola porzione del “coagulo” è stata prelevata e solubilizzata in 150 ml di 8M urea/ 2M tiourea/4% 3-[(3-Colamidopropil)dimetilammonio]-1-propansulfonato (CHAPS) e la concentrazione proteica è stata determinata tramite saggio di Bradford. Anche le urine circostanti il “coagulo” sono state prelevate e il contenuto proteico quantizzato. Ottanta mg di ognuno di questi campioni, sciolti in 140 ml di tampone di reidratazione (8M urea, 2M tiourea, 4% CHAPS, 65mM ditioeritritolo (DTE), 0.5% (v/v) ZOOM Carrier Ampholytes –Invitrogen, Carlsbad, CA), sono stati applicati su strip di acrilammide in gradiente di pH immobilizzato (IPG strips, 7cm, pH 3–10 non lineare; Bio-Rad, Hercules, CA). Le IPG strips sono state lasciate reidratare passivamente per 12 h. L’isoelettrofocalizzazione (IEF) è stata eseguita su un apparato ZOOM IPGrunner (Invitrogen Carlsbad, CA) impostando le seguenti condizioni: 80V per 20min, 150V per 20 min, 250V per 20min, 400V per 15min, 600V per 10min, 800V per 10min, 1200V per 20min, 2000V per 30min. Dopo l’ IEF, le IPG strips sono state equilibrate per 12 min in una soluzione contenente 6M urea, 30% (v/v) glicerolo, 2% (w/v) sodio dodecilsolfato (SDS), 50 mM Tris-HCl, pH 6.8, 2% (w/v) DTE, e per 5 min in una identica soluzione, contenente tracce di bromofenolo blu, in cui il 2% DTE è stato sostituito con 2.5% (w/v) iodoacetammide. Quindi, ogni strip è stata applicata su un gel in gradiente di poliacrilammide 4-12% (8x10 cm, Invitrogen, Carlsbad, CA). L’elettroforesi di questi gel è stata eseguita applicando un voltaggio costante di 200 volt. I gel sono stati colorati con una soluzione 0.2% w/v di Coomassie Blue R-250 in 50% v/v metanolo-10% v/v acido acetico e l’immagine è stata acquisita con un densitrometro Bio-Rad G-800.
Identificatione di proteine tramite spettrometria di massa (MS) MALDI-ToF (Matrix-assisted laser desorption ionization)
Gli spot proteici di interesse sono stati tagliati manualmente dal gel, lavati prima in acqua distillata, poi in 50% (v/v) acetonitrile ed infine disidratati con 100% acetonitrile. Gli spot sono incubati per 1 h a temperatura ambiente in 20 ml di NH4HCO3 40 mM /10% acetonitrile contenente 25 ng/ml di tripsina (Trypsin Gold, mass spectrometry grade, Promega). Quindi si aggiungono 50 ml di NH4HCO3 40 mM /10% acetonitrile e si lascia procedere la digestione triptica per tutta la notte a 37°C. I peptidi generati dalla digestione vengono estratti dal gel tramite 2 lavaggi consecutivi di 20 min, a temperatura ambiente, in 50% acetonitrile/5% acido trifluoroacetico (TFA). Dopo essiccamento tramite centrifugazione sotto vuoto, i peptidi sono risospesi in 0.1% TFA, purificati dai sali tramite il sistema ZipTip C18 (Milllipore, Bedford, MA, U.S.A.) ed eluiti direttamente nella matrice utilizzata per la spettrometria di massa (10 mg/ml acido a-ciano-4-idrosscinnamico in 50% acetonitrile/1% TFA). Gli spettri di massa vengono acquisiti su uno spettrometro Voyager-DE MALDI-ToF (Applied Biosystems, Foster City, CA). Le masse dei peptidi ottenute sono state immesse nella banca dati MASCOT searching engine (http://www.matrixscience.com) che permette di identificare la proteina corrispondente all’elenco delle masse inserite.
Bibliografia
1) Dominguez DC, Lopes R, Torres ML. Proteomics: clinical applications. Clin Lab Sci. 2007 Fall;20(4):245-8.
2) Dominguez DC, Lopes R, Torres Proteomics technology. ML.Clin Lab Sci. 2007 Fall;20(4):239-44.
DISCUSSIONE
Gabriella Bianchini
Prof. Aggregato di Nefrologia. Università “La Sapienza” - Roma
La nefropatia tubulo-interstiziale da BKV è recentemente diventata una importante causa di perdita di funzione del rene trapiantato. l BKV è un poliomavirus a doppia elica di DNA con uno spiccato tropismo per le cellule dell’urotelio e dei tubuli renali. L’infezione iniziale è molto frequente (fino al 90% della popolazione) e passa inosservata nel soggetto immunocompetente, ma il virus persiste indefinitamente allo stato latente nel nucleo delle cellule tubulari e uroteliali. La nefropatia da BKV si sviluppa quasi esclusivamente nei pazienti con trapianto renale a causa della riattivazione dell’infezione latente nelle cellule tubulari (1), dovuta all’immunosoppressione. Istologicamente, si presenta come una lesione tubulo-interstiziale multifocale, in cui le cellule più compromesse sono quelle del tubulo distale (2). La lesione presenta vari stadi di gravità; in quelli più avanzati, prima della necrosi, si verifica la perdita della tipica polarità della cellula tubulare (2). Se la diagnosi è precoce, la riduzione della terapia immunosoppressiva consente il controllo dell’infezione e il mantenimento della funzione renale, mentre una diagnosi tardiva ne provoca la perdita irreversibile. Non sono ancora noti i meccanismi patogenetici con cui il virus provoca i suoi effetti. Negli ultimi anni alcuni lavori hanno dimostrato che un recettore per il BKV ha le caratteristiche di una glicoproteina con numerosi residui di acido sialico (3-5).
Non risulta precedentemente descritta la comparsa di coaguli gelatinosi nelle urine. La formazione del gel nelle urine si è verificata tutti i giorni per circa 20 gg nel corso di una gravissima infezione da BKV (~ 8 x 107 copie di virus nelle urine e > 1 x 106 nel sangue) che ha provocato la perdita della funzione renale e l’espianto del graft.
L’origine di questo fenomeno può certamente essere attribuita al rene trapiantato, dal momento che l’espianto di questo determina l’immediata scomparsa di coaguli urinari.
La caratterizzazione delle proteine presenti nel coagulo ha evidenziato fattori probabilmente ascrivibili alla condizione di macroematuria della paziente: fibrinogeno, anidrasi carbonica ed emoglobina sono infatti proteine normalmente presenti nel plasma e nelle emazie. Ben più interessante risulta l’individuazione nel coagulo della Tamm-Horsfall (THP), proteina sintetizzata esclusivamente a livello renale e fisiologicamente presente nelle urine, in cui fu identificata per la prima volta come inibitrice dell’emoagglutinazione da parte del virus dell’influenza. La sua esatta funzione fisiologica non è tuttavia chiara. Dal punto di vista biochimico costituisce la più complessa glicoproteina umana, ricca di residui di acido sialico (6). La THP viene sintetizzata dalle cellule del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle (parte del tubulo distale), per poi essere veicolata sulla superficie apicale della cellula, dove si ancora. Da qui si distacca la porzione che viene secreta nelle urine (6); l’escrezione giornaliera di THP è compresa tra 30 e 50 mg/die (6). La THP è una proteina immunologicamente segregata, come confermato da risultati sperimentali in cui l’iniezione e.v. di THP omologa provoca nel coniglio la comparsa di anticorpi anti-THP in circolo e una nefrite tubulo interstiziale caratterizzata da una prevalente immunità cellulare con specificità anti-THP. Studi recenti confermano un ruolo attivo della THP nella patogenesi della nefrite interstiziale; in questi casi, è stata dimostrata una sua aberrante presenza sul versante basolaterale delle cellule tubulari e negli infiltrati interstiziali (6- 8). È nota la specifica tendenza della THP a gelificare e ad aggregare altre proteine, mentre non sono riportati casi di aumentata sintesi ed escrezione della proteina nell’uomo. Al contrario, nei pazienti trapiantati la sua escrezione si riduce parallelamente alla funzione renale.
L’aumentata escrezione di THP da noi rilevata in una paziente con funzione renale pressoché nulla, potrebbe essere di per sé associata alla lesione tubulo-interstiziale, oppure potrebbe essere determinata dall’infezione da BK virus. La prima ipotesi sembra improbabile dal momento che le nefropatie tubulo-interstiziali non dovute a BKV sono relativamente frequenti e, a parte l’evoluzione sicuramente molto più lenta, non sono molto diverse dalla forma causata dal virus. Pertanto si può supporre che se la comparsa di elevati livelli di THP nelle urine fosse la conseguenza di una nefropatia tubulo-interstiziale il fenomeno del coagulo gelatinoso si verificherebbe con una maggiore frequenza e sarebbe già stato descritto.
L’ipotesi che la causa del fenomeno sia legato alla presenza del virus merita invece una più attenta considerazione. Ricordiamo innanzitutto che i recettori per il BKV non sono stati ancora identificati. Tuttavia, secondo recenti lavori, il recettore per il virus è una glicoproteina N-linked, con acido sialico legato in α 2,3 (3-5), non meglio identificata. Poiché la caratterizzazione biochimica ha mostrato che queste due caratteristiche sono presenti nella proteina Tamm-Horsfall (6), e poiché nel caso descritto una produzione anomala di tale fattore è associata ad una infezione BK ad alto carico virale, formuliamo l’ipotesi che la THP possa agire da recettore per il BKV. Tale ipotesi può essere sostenuta da alcuni interessanti dati noti: per prima cosa. la THP è nota come inibitore dell’emoagglutinazione di numerosi virus, indicando una sua indiscutibile capacità di legare più virus; inoltre, la THP è ancorata sulla membrana citoplasmatica di una parte delle cellule parassitate (cellule del tratto ascendente spesso dell’ansa di Henle).
Poiché i virus integrati nel DNA della cellula ospite sono in grado di stimolare la sintesi delle proteine cellulari necessarie alla loro diffusione e replicazione, è plausibile che il virus determini un’induzione della produzione della proteina THP, che agirebbe come suo recettore.
L’identificazione della THP nelle urine della nostra paziente ha suscitato interesse anche circa un suo possibile ruolo nella patogenesi della NBKV. Nelle forme gravi di nefropatia, il BK virus provoca nelle cellule tubulari la perdita di polarità (2), un evento da noi ritenuto estremamente significativo quando si verifica a carico delle cellule produttrici di THP, proteina immunologicamente segregata. Infatti questa potrebbe rappresentare una fase fondamentale nella patogenesi della BKVN: la perdita di polarità permette alla THP di fuoriuscire, oltre che dal versante luminale della cellula, come di norma, anche dal versante basolaterale e di riversarsi cosi nell’interstizio, dove è noto che la sua presenza innesca una nefrite, come si verifica ad esempio nella cast nephropathy (6). Sembra inoltre che la THP sintetizzata in corso di terapia immunosoppressiva abbia una struttura biochimica modificata rispetto alla norma, cosa che potrebbe ulteriormente incrementare la sua capacità immunogena (9). Riteniamo pertanto che i numerosi dati presenti in letteratura consentano di ipotizzare che la THP possa svolgere un ruolo cruciale nella patogenesi della BKVN. Questa ipotesi spiegherebbe bene alcuni aspetti anatomo-patologici della nefropatia, come la maggiore gravità della lesione a carico dei tubuli distali e la sua multifocalità. Potrebbe anche spiegare il motivo per cui, se nelle fasi iniziali dell’infezione si riduce rapidamente la carica virale, non si verifica nessun danno tubulare grave né la riduzione del FG mentre al contrario una volta che l’IR si è instaurata, essa è irreversibile e non risponde più al controllo dell’infezione.
Infine, la formazione di un aggregato macroscopico contenente la THP ed altre proteine può essere spiegata dal verificarsi di una serie di condizioni concomitanti: aumentata quantità di THP e di altre proteine, anche in seguito a riduzione della diuresi; alterazioni nelle concentrazioni di elettroliti e altre sostanze normalmente presenti nelle urine, provocate dal ritorno in HD della paziente; intrinseca tendenza della THP a gelificare e ad aggregarsi ad altre proteine.
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE
La proteomica si è rivelata un formidabile strumento clinico, che ha consentito di identificare le proteine contenute nel coagulo gelatinoso, risultato non ottenibile con le consuete metodiche di analisi cliniche. Le informazioni cosi acquisite permettono di formulare due interessanti ipotesi di lavoro che coinvolgono la proteina Tamm-Horsfall: i) che essa sia un recettore per il BKV e ii) che essa possa svolgere un ruolo cruciale nel meccanismo con cui il virus provoca la BKVN e quindi la perdita di funzione dell’organo trapiantato.
Queste ipotesi dovranno essere verificate con ulteriori e più approfonditi studi, vista il loro grande impatto potenziale nella pratica clinica. Infatti, se la THP risultasse effettivamente in grado di agire da recettori per il BKV, il suo dosaggio periodico nei pazienti con trapianto renale potrebbe contribuire ad una diagnosi precoce dell’infezione, permettendo di evitare la perdita di funzione dell’organo.
BIBLIOGRAFIA
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