PETR JAKOVLIVIC CAADAEV, IL DISSENSO TRA IDEALISMO E PAZZIA
Claudio Bevilacqua
LA VITA
Caadaev, scrittore e pensatore russo dell’Ottocento, nacque nel 1794 a Nogvorod, città a sud est di San Pietroburgo.
Di nobile famiglia, rimase orfano da bambino di entrambi i genitori, per cui fu allevato, a Mosca, dalla zia materna, la principessa Anna Scerbatova.
Ebbe un’ottima educazione, impartitagli da Buhle e Christian von Schloezer, educazione improntata sulle idee dell’illuminismo, con grande interesse per la cultura europea occidentale.
In seguito subì l’influsso dell’idealismo romantico di Friedrich Wilhelm Joseph Schelling (1775-1854), che Caadaev ebbe modo di conoscere personalmente, e dell’idealismo razionale di Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831).
Dopo aver frequentato l’Università di Mosca, Caadaev si arruolò in un reggimento della Guardia Imperiale dello zar Alessandro I, facendo una brillante carriera. Si distinse, infatti, nella guerra contro Napoleone del 1812, specie nella sanguinosa battaglia di Borodino.
Rientrato in Patria nel 1813, dalla Francia, che era stata occupata dalle vincitrici truppe russe, aderì ad una loggia massonica, che però lasciò nel 1818.
Nel 1821 lasciò la carriera militare e nel 1823, un po’ per motivi di salute, un po’ per i pericolosi rapporti che aveva con alcuni esponenti dell’intelligencija russa di idee liberali e repubblicane, iniziò un lungo viaggio all’estero, visitando e sostando in Gran Bretagna, Francia, Svizzera, Italia e Germania.
Rientrato in Patria nel 1826, si ritirò dalla vita sociale, vivendo cinque anni isolato in campagna, quasi come un eremita, dedicandosi allo studio ed alla elaborazione del suo pensiero filosofico per riprendere, solo nel 1831, la vita sociale a Mosca.
Durante questo isolamento, scrisse in francese, probabilmente tra il 1828 ed il 1831, otto “Lettere filosofiche”, tradotte poi in russo.
La prima di queste lettere, intitolata “Da Necropoli”, che era una impietosa critica alla Russia ed alla sua società, fu pubblicata nel 1836 sulla rivista “Teleskop”, diretta da Nadezdin.
Questa pubblicazione, che lo zar Nicola I definì “una temeraria pazzia ad opera di uno squilibrato”, costò a Caadaev la qualifica ufficiale di pazzo, per cui fu posto coattamente in cura di un medico della polizia, a Nadezdin costò, invece, l’esilio nel nord della Russia e la chiusura della rivista, mentre il censore, che aveva consentito la pubblicazione, fu licenziato.
Turbato dalle critiche che erano piovute sul suo scritto e dallo scandalo che esso aveva provocato, Caadaev, nel 1837, tentò una difesa, scrivendo la “Apologia di un pazzo”, che ebbe, però, scarso riscontro.
Si isolò, perciò, di nuovo, finendo in solitudine gli ultimi anni della sua vita, per venire a morte nel 1856.
GLI ZAR DI PETR JAKOVLIVIC CAADAEV
Caadaev visse sotto due zar: Alessandro I e Nicola I, fratello del precedente.
I due zar appartenevano alla dinastia dei Romanov, arrivata al trono imperiale nel 1613, per estinguersi nel 1918, a seguito della rivoluzione.
Questa rivoluzione scoppiò nel marzo del 1917 e costrinse lo zar Nicola II (1868-1918) ad abdicare.
Arrestato con la zarina ed i figli, quattro femmine ed un maschio, il 17 luglio del 1918 lo zar fu trucidato dai bolscevichi con tutta la famiglia, a Jekaterinenburg.
ALESSANDRO I (1777-1825) figlio dello zar Paolo Romanov, salì al trono nel 1801 e fu dapprima un sovrano illuminato, riorganizzando lo Stato.
Entrato in guerra contro Napoleone, nella terza coalizione, che riuniva, con la Russia, l’Inghilterra, l’Austria, il regno di Napoli, la Svezia e la Turchia, fu sconfitto, con i suoi alleati, ad Austerlitz (dicembre 1805), per cui fu costretto, con gli stessi, alla pace di Presburgo.
Dopo la sconfitta di Austerlitz, Alessandro I si alleò con Napoleone, ma, nel 1806, si staccò da questi, per riprendere contro di lui la guerra, entrando nella quarta coalizione, nella quale era alleato all’Inghilterra ed alla Prussia, subendo, però, l’invasione del suo Paese, dopo le battaglie di Eylau e Friedland (1807).
Alessandro I firmò allora la pace di Tilsitt, alleandosi con Napoleone, ma questi, per il mancato rispetto del blocco continentale, da lui voluto nel 1806 per danneggiare l’Inghilterra, invase nel 1812 la Russia.
A Borodino, Napoleone vinse la battaglia, ma ebbe pesanti perdite.
Non riuscendo a contattare il governo russo per firmare una pace, Napoleone decise la ritirata del suo esercito, che durò quasi tre mesi, dall’ottobre al dicembre del 1812, passata alla storia come il dramma della Beresina.
Le truppe russe, sotto il comando del generale Kutuzov, dopo la battaglia di Lipsia del 1813, detta delle nazioni, perché coinvolse l’Inghilterra, la Russia, la Svezia, la Prussia e l’Austria, e nella quale Napoleone fu sconfitto, giunsero, alla fine del 1813, sino a Parigi.
Alessandro I, nel settembre del 1815, si fece promotore della Santa Alleanza, che era un’appendice del Congresso di Vienna, accordandosi con l’Austria, la Prussia e la Francia, una volta deposto Napoleone, perché i loro popoli seguissero la religione e la morale cristiana.
In seguito Alessandro I rivelò, oltre, a discutibili tendenze mistiche, preoccupanti atteggiamenti autoritari, assumendo inaccettabili determinazioni autocratiche.
NICOLA I (1796-1855), fratello terzogenito di Alessandro I, morto senza eredi, salì nel dicembre 1825 al trono imperiale, dopo la rinuncia allo stesso del fratello secondogenito Costantino.
Ciò provocò la rivolta militare dei decabristi o decembrisi. Questi erano patrioti, per lo più giovani ufficiali, di tendenze liberali ed in alcuni anche repubblicane. Essi avrebbero voluto che fosse salito al trono Costantino per ottenere da lui una costituzione. La rivolta, scoppiata a San Pietroburgo nel dicembre del 1825, fu stroncata da Nicola I nel sangue, sotto il fuoco dell’artiglieria, mentre cinque capi della sommossa furono impiccati.
Nel 1829, Nicola I dichiarò guerra alla Turchia in favore dell’indipendenza greca, uscendone vittorioso nel 1830.
Ed è appunto questo l’anno del riconoscimento della sovranità nazionale greca, al Congresso di Londra.
Nel 1830-1831 lo zar represse la rivolta nazionale polacca, mentre nel 1848 intervenne a favore dell’Austria per respingere la rivolta ungherese guidata da Lajos Kossuth e ristabilire il dominio asburgico sull’Ungheria.
Nel 1853 Nicola I entrò di nuovo in guerra contro la Turchia, la quale fu sostenuta dall’Inghilterra e dalla Francia, alle quali si aggiunse il Piemonte di Cavour.
I russi furono sconfitti nel 1856, ma nel corso della guerra, detta di Crimea, nel 1855, durante l’assedio di Sebastopoli, lo zar morì.
Come persona, Nicola I era un sovrano assolutista, intransigente, autocratico, conservatore, despota illuminato e determinato nazionalista; sviluppò, infatti, una politica di russificazione spinta, puntando, nel contempo, ad un ritorno all’ortodossia della Chiesa.
Lavoratore instancabile, seguiva e pretendeva disciplina, per cui impose un regime poliziesco; aveva, però, alto senso del dovere, anche se con mentalità da burocrate.
Sottopose a stretto controllo la stampa, la letteratura, l’università e condannò, anche con lavori forzati, l’abiura della religione ortodossa.
Era contrario alla servitù, per cui si sforzò di abolirla, autorizzando i proprietari terrieri a stipulare accordi con i contadini.
A lui si deve, nel 1832, la codificazione delle leggi russe, che fu redatta dallo statista e primo ministro, conte Michajlovic Speranskij, la quale rimase in vigore sino al 1917.
Nonostante l’indubbio e pressante conservatorismo, la Russia, durante il regno di Nicola I, conobbe progresso culturale, artistico ed economico ed, infatti, la vita intellettuale russa ebbe un intenso e rapido sviluppo ed andò incontro ad una vera e propria emancipazione, come rilevò lo scrittore russo ed uomo politico liberale Alexander Ivanovich Herzen (1812-1870) e ciò specie per l’influenza dello Schelling e di Hegel.
Si affermarono così il teatro, la danza, tuttora in auge in tutta Europa, l’opera lirica e la letteratura. Si pensi che sorsero addirittura teatri privati, fondati e gestiti da proprietari terrieri, nei quali recitavano servi della gleba, opportunamente addestrati.
PETR JAKOVLIVICH CAADAEV: L’UOMO ED IL PENSATORE
La personalità di Caadaev la si può desumere; essenzialmente, da alcuni fatti della sua vita, il suo pensiero, invece, da quanto egli ebbe a scrivere.
Ma com’era l’uomo Caadaev?
Si sa che, da bambino, era rimasto orfano, di entrambi i genitori, quindi, era stato privato di quella figura maschile - il padre - , che era fondamentale nella famiglia russa dell’Ottocento, specie se nobile.
L’affetto materno era stato, invece, compensato, in qualche modo, da quello della zia, la principessa Anna Scerbatova, la quale l’aveva allevato e fatto ben educare.
Inoltre, Caadaev doveva aver acquisito il carattere tipico dei bambini cresciuti da soli, quelli che nella fase di formazione del carattere non hanno vicino coetanei, con i quali confrontarsi.
Questo lo si desume da una insicurezza di fondo, da un timore attitudinale e, sicuramente, dalla timidezza. Egli, infatti, scrive le sue Lettere filosofiche quando vive isolato in campagna, senza aver alcun contatto culturale per un eventuale confronto, e le pubblica solo alcuni anni dopo, quando è già ritornato alla vita sociale ed ha sedimentato il suo pensiero.
Caadaev era, quindi, un pavido per natura, ma questo non vuol essere un giudizio negativo, ma solo una constatazione obiettiva, quasi a voler scusare in qualche modo il suo comportamento.
Egli da intellettuale e per giunta nobile e ufficiale della Guardia Imperiale poteva avere, come del resto li ha avuti, rapporti culturali con altri ufficiali, di certo nobili come lui, perché all’epoca in Russia, solo i nobili potevano far carriera militare, e se questi ufficiali erano di idee liberali o addirittura repubblicane, di certo lui, data la sua timidezza, non deve averle osteggiate, e posto che per qualche assunto l’abbia fatto, di certo non le ha osteggiate con fermezza.
Non aveva, infatti, le stimmate del protagonista.
Di certo, data la sua cultura, lo affascinavano le idee liberali, non così quelle rivoluzionarie, dato il suo carattere fondamentalmente mite.
Penso che sia stato questo “essersi compromesso” a fargli lasciare la pur brillante carriera militare, pur non escludendo che gli addotti motivi di salute possano aver fatto ipotizzare uno stato di forza maggiore, che, anche se non vera, tornava comunque utile nella fattispecie.
Egli, per giunta, si isolò in campagna per ben cinque anni.
Ritornato alla vita di società e vista la critica che veniva mossa alla sua Lettera, anche da parte di amici, come Alexander Serghejevic Puskin (1799-1837), decise di pubblicare un altro scritto filosofico, indicato come “Apologia di un pazzo”, nel quale, pur ribadendo alcuni concetti contenuti nella Lettera, li corresse, quasi a volersi scusare dei precedenti assunti.
Ma cosa diceva Caadaev nella sua Lettera?
Egli, che ammirava la cultura europea e riconosceva al cattolicesimo una grandissima valenza per la crescita culturale, vedeva nella Russia una città di morti, ritenendo i russi figli illegittimi, senza eredità e senza legami con gli uomini che gli avevano preceduti. Pensava che la storia della Russia era stata preceduta da selvaggia barbarie, alla quale era seguito grossolano pregiudizio ed infine crudele ed umiliante giogo.
Per lui la Russia non aveva un passato, né un presente, né un futuro.
Inoltre, egli sosteneva che i russi, solitari nel mondo, nulla avevano dato ad esso, nè contributo al progresso dello spirito umano, che, anzi, avevano sfigurato, perché a loro era mancato il dinamico principio sociale del cattolicesimo romano.
Per lui la Russia sembrava staccata dall’Europa, fuori delle idee tradizionali europee, ed era “una lacuna nell’ordine intellettuale delle cose” che, invece, di accogliere il vero cristianesimo, si era accontentata dell’idea sfigurata della passione umana, relegata, com’era, nello scisma ortodosso bizantino.
Caadaev invitava, perciò, i suoi connazionali a rimediare agli errori del passato, ad adottare la lingua francese al posto di quella russa ed a rientrare nella fede cattolica, abbandonando quella ortodossa.
Egli era, quindi, un convinto occidentalista, contrario allo slavismo che impregnava il pensiero russo, pur essendo un appassionato patriota ed un sincero credente nella fede di Cristo, che, del resto, ha sempre caratterizzato la spiritualità del popolo russo e degli slavi in genere.
La sua fede era, però, iconoclastica, rifacendosi al pensiero religioso di un movimento di fedeli sorto nell’impero bizantino nell’ottavo – nono secolo.
Nella Apologia, quasi scusandosi, il filosofo rivalutò la storia della Russia, affermando che “la storia non è più nostra, ma la scienza ci appartiene; noi non potremo ricominciare tutto il lavoro dello spirito umano, ma potremo partecipare ai suoi lavori ulteriori; il passato non è più in nostro potere, ma l’avvenire è nostro”.
Egli concludeva il suo pensiero con la certezza che la Russia si assicurerà un futuro, se dedicherà tutte le sue energie per raggiungere una comune cultura cristiana.
Caadaev, di fatto, avversò come pensatore, non come rivoluzionario, l’imperativo categorico di seguire “ortodossia, autocrazia e nazionalità”, come indicava Uvarov, al fine di realizzare quel nazionalismo ufficiale, che caratterizzava il governo di Nicola I.
Ma Caadaev era veramente pazzo? Io penso proprio di no.
Il suo era un dissenso filosofico e, nel contempo, sociopolitico, che preoccupava il potere costituito per l’influenza che poteva avere, e la ha avuta, sul mondo intellettuale, sempre contrario, per sua natura, all’autocrazia, e ciò anche in Russia.
Il dissenso venne spesso fatto passare per pazzia dai regimi dittatoriali; in Russia da quello autocratico di Nicola I (1796 – 1855) e da quello comunista di Josif Vissarionovic Giugasvili, detto Stalin (1879 – 1953).
Di questa “diagnosi politica” di pazzia, oggi, in epoca non più sospetta, Nicola I e Stalin rimangono fedeli testimoni.
Quindi, le conclusioni epicritiche di Caadaev concretizzavano solo un dissenso, che nel pensatore russo era razionale ed emotivo ad un tempo, ed era motivato dalla disapprovazione per la gestione autocratica del suo Paese, accettata per utilità o prudenza da una prevalente classe opportunistica.
Di quest’uomo originale, dotato di intelligenza acuta, forse fu l’originalità, accompagnata a qualche nota di psicolabilità, a dare credito alla diagnosi di pazzia che gli era stata affibbiata.
BIBLIOGRAFIA
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Trieste, maggio 1978.
Jakovenco B. Russia I
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Jakovenco B. Filosofi russi
Firenze 1927
Lo Gatto E. Storia della letteratura russa. III
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Masaryk K. Russland und Europa, zur russischen Geschichts und Religionsphil.
Due volumi.
Jena 1913
(tradotto da E. Lo Gatto. Roma. Istituto Europa Orientale)