QUALCHE SPUNTO CRITICO STIMOLATO DALL’ANTIBIOSI

 

CLAUDIO BEVILACQUA

 

 

Con il termine generico di antibiosi si indica lazione distruttiva di un organismo su un altro organismo. L’antibiosi classica, invece, è quella che ricorre quando un organismo vegetale, come una muffa, distrugge un determinato batterio.

Il termine antibiosi è stato coniato nel 1889 dal biologo, botanico e naturalista francese dell’Università di Nancy, Paul Vuillemin (1861-1932) e ripreso, nel 1941, dallagronomo statunitense di etnia russa, ma microbiologo e biochimico autodidatta, Selman Abraham Waksam (1888-1973), Direttore del Rutgers Institute of Microbiology del Massachusetts e premio Nobel per la medicina nel 1952.

L’antibiosi era stata notata, nel 1877, dal chimico e microbiologo francese Louis Pasteur (1822-1895), che aveva osservato come una cultura di germi patogeni poteva venir inibita da germi non patogeni.

Dal termine antibiosi deriva quello di antibiotico, che di fatto indica l’ostacolo che un determinato microrganismo, batterio o muffa, pone alla riproduzione o alla vita di un altro.

 

L'esistenza di un’antibiosi era nota, però, senza averne, ovviamente, contezza scientifica, sin dall’epoca ellenistica e di Roma antica ed in seguito della medicina popolare.

Ad esempio, le ferite e molte malattie della pelle venivano curate con apposizione di sterco animale (capre, maiali, uccelli), ricco di flora intestinale (copro terapia), mentre, in caso di tubercolosi polmonare, si faceva assumere al paziente muffe raschiate dal fondo di barili, che avevano contenuto rape da inacidire.

La muffa, detta anche micelio, è il nome generico che si da a certi funghi, che sono molto piccoli e si sviluppano in grandissimo numero. Essa è un saprofita, cioè un parassita che si sviluppa sullo strato esterno di organi vegetali, animali o sul terreno.

E’, quindi, una produzione fungina.

L’antibiosi moderna nasce negli Anni Venti del Novecento e, precisamente, nel 1928, quando il medico scozzese Alexander Fleming (1881-1955) scoprì, nel St. Mary Hospital di Londra, dove operava come assistente del batteriologo A.Wright, Direttore dell'Istituto delle inoculazioni della locale Università, che la cultura di una muffa, costituita da penicillum notatum, lisava una cultura microbica di stafilococco.

Il penicillum è un micete, cioè un fungo, organismo vegetale risultante di tessuto cellulare a filamenti, senza clorofilla.

Fleming, allora preparò un estratto acquoso della cultura, ma non isolò dalla stessa il principio attivo che chiamò penicillina. La scoperta fu resa nota l’anno successivo, pubblicata su British Journal of Experimental Pathology.

All’ipotizzato principio attivo, Fleming diede solo valore per la tecnica di laboratorio.

Veramente, la scoperta di Fleming dipese da un fatto del tutto fortuito, che i cultori della lingua d’Albione definirebbero una serendipity, cioè la fortuna di fare felici scoperte.

Il caso fortuito per Fleming consistette nell’aver egli osservato che una goccia di muco fuoriuscitagli dal naso, essendo egli raffreddato, cadendo su una piastra di gelatiseminata di colonie di germi, aveva fatto scomparire detta colonia. Il muco, quindi, conteneva un principio attivo capace di lisare i germi.

Su questo caso fortuito ha dato alle stampe un pregevole lavoro l’illustre storico della medicina Luciano Sterpellone, intitolandolo “Alexander Fleming. That’s Funny’’, cioè

“Alexander Fleming. Questo è buffo’’.

Fleming continuò le ricerche, sull’ipotizzato principio attivo, assieme al biochimico russo, nato a Berlino, Boris Ernest Chain (1906-1979), che nel 1938 isolò la penicillina, ed al patologo generale australiano Howart Walter Florey (1898-1968), che, ad Oxford, la sperimentò, preceduto, però, nel 1937 dal Waksam, che aveva già verificato la sua potestà litica.

Nel 1940 il Gruppo di Studio di Oxford, guidato da Florey e da Chain fece interessanti studi sulla penicillina.

Nel 1941 Florey e Chain si recarono negli U.S.A. per chiedere aiuto per la fabbricazione della penicillina. Ottenutolo, la penicillina, nella primavera del 1942, fu messa a disposizione, dall’industria americana, delle persone malate.

Nel 1943, durante la seconda guerra mondiale, fu data ai soldati alleati colpiti da qualche infezione mentre combattevano in Nordafrica e nel 1944 in Francia, dopo lo sbarco in Normandia.

A Fleming, Chain e Florey nel 1945 fu assegnato il premio Nobel per la medicina.

 

Il premio Nobel è un prestigioso premio in denaro, erogato dalla Fondazione, creata nel 1901, per volontà testamentaria del chimico svedese Alfred Bernhard Nobel (1833-1896), l’inventore della dinamite.

Il premio viene assegnato annualmente agli autori dei più importanti lavori nel campo della chimica, della fisica, della medicina e della letteratura e, dal 1969, anche dell’economia, nonché a chi ha maggiormente contribuito alla pace tra i popoli.

Molti italiani hanno meritato il premio Nobel, di questi, ricorderò il premio Nobel per la medicina conferito nel 1906 a Camillo Golgi (1843-1926), istologo e patologo, allievo di Giulio Bizzozero, che aveva scoperto un importante metodo di colorazione, quello conferito nel 1957 al biochimico e farmacologo svizzero, naturalizzato italiano, Daniel Bovet (1907-1992) per i suoi pregevoli studi sugli antistaminici, e quello conferito nel 1975 al biologo e medico statunitense, di origine pugliese, Renato Dulbecco (1914-2012) per i suoi studi sui virus cancerogeni e sul DNA virale.

Per particolare interesse culturale, ricorderò anche qualche premio Nobel per la letteratura, ad esempio quello conferito a Giosuè Carducci nel 1906, a Grazia Deledda nel 1926, a Luigi Pirandello nel 1934 ed a Salvatore Quasimodo nel 1959, volutamente scordando quello conferito alcuni anni fa ad un personaggio, a mio avviso più giullare e guitto che letterato.

 

Prima di Fleming, però, altri ricercatori utilizzarono culture di muffe e di germi a fini antibatterici. Ad esempio, Arnaldo Cantani (1837-1893), clinico medico a Napoli, utilizzò nel 1885 culture di germi comuni per la cura della tubercolosi.

Nel 1895 l’italiano Vincenzo Tiberio (1869-1945), medico della marina militare, igienista e batteriologo, evidenziò l’antibiosi delle culture di alcune muffe (penicillum glaucum, aspergillus flavus, mucor mucedo) nelle infezioni sperimentali con la salmonella typhi (agente del tifo) e con il vibriocomma (agente del colera). L’esito delle sue ricerche fu pubblicato nel lavoro scientifico “Sugli estratti di alcune muffe’’.

Tiberio ipotizzò l’esistenza di un principio attivo, solubile in acqua, che, però, non isolò ed al quale non diede giustamente alcun nome, a differenza di Fleming che fece  la medesima scoperta, 33 anni dopo, dando all’ignoto principio’’, che pure lui non isolò, il nome che farà la sua fortuna.

Nel 1896 G. Bosio, medico nell’Istituto Superiore di Sanità Pubblica, ripetuto l’esperimento e rilevata l’azione antibatterica di alcune muffe, isolò il principio attivo presente nell’estratto acquoso della muffa di penicillum glaucum, dandogli il nome di arsina penicillate. Quindi è a Bosio e non a Fleming che va la scoperta del primo antibiotico, cioè della penicillina.

Nel 1898 Rudolf  Emmerich (1854-1914), professore di batteriologia e di igiene all’Università di Monaco, scoprì l’azione antibatterica, contro il vibriocomma ed il bacillus antracis (agente del carbonchio), di una cultura di bacterium pyocianeum, chiamando piocianasi il principio attivo.

Questa sostanza, capace di distruggere anche il corynebacterium diphteriae (agente della difterite), la salmonella typhi e la pasteurella pestis (agente della peste), fu subito abbandonata dalla terapia, causa la sua tossicità.

 

Dopo la scoperta del primo antibiotico, la penicillina, altri antibiotici saranno ricavati dalle muffe e prenderanno il nome dal microrganismo che li ha prodotti.

Nel 1940 il Dubois isolò la tirotricina da una cultura di bacillus brevis.

Nel 1943 Waksam isolò da culture di streptomices griseus la streptomicina, che si rivelerà molto efficace contro la tubercolosi.

Ed è a Waksam che si deve pure la definizione, data, nel 1947, agli antibiotici, che sono “sostanze naturali chimiche’’, che si ottengono da determinati organismi (muffe e batteri) e che hanno azione batteriostatica e/o battericida, senza ledere i tessuti dellospite, in particolare luomo.

Nel 1943 verrà scoperta la bacitracina, nel 1948 la polimixina, la cloromicetina o cloranfenicolo, isolata da un ceppo di streptomyces venezuelanae, ottenuto da un campione di terreno raccolto vicino a Caracas, efficace contro il tifo esantematico e nella brucellosi, e l’aureomicina, isolata da Duggar da culture di streptomyces aureofaciens, rivelatasi efficace nel linfogranuloma venereo, nel 1949 verrà scoperta la neomicina e nel 1950 la terramicina. Altri antibiotici verranno scoperti in seguito.

 

A tal punto viene da chiedersi perché il premio Nobel fu conferito, nel 1945, a Fleming, Chain e Florey e non fu esteso a Tiberio, che nel 1945 era ancora vivo, ed al Bosio?

Forse perché l’Italia di Tiberio e Bosio nel 1945 aveva perduto la guerra e gli U.S.A. e l’Inghilterra di Fleming, Chain e Florey l’avevano vinta?

 

Questa difforme valorizzazione non è infrequente nel mondo della ricerca scientifica, si pensi al nostro Leonardo da Vinci (1452-1519), il quale intuì l’essenza dell’emodinamica, disegnando di essa vari distretti, e ciò ben prima che si ergesse sul palcoscenico della storia della medicina l’inglese William Harvey (1578-1657).

Ma prima di Harvey diedero contributi determinanti sulla circolazione del sangue anche Andrea Cesalpino d’Arezzo (1524-1602), lo spagnolo Michele Serveto (1509-1553), bruciato sul rogo da ottusi integralisti, seguaci di Calvino, e Realdo Colombo di Cremona (1515-1559).

Il merito di Harvey, che nessuno gli contesta, è di aver valorizzato le precedenti scoperte, di averle ordinate e provate con dimostrazioni fisiche ed elaborazioni matematiche, il che gli valse la fama di scopritore della circolazione sanguigna.

Gli si deve, però, riconoscere la genialità di aver considerato la circolazione del sangue sia dal punto di vista meccanico che dinamico.

 

Un altro caso di difforme valorizzazione o meglio di disattenzione è quello su chi descrisse la demenza senile, oggi nota come malattia di Altzheimer, e della quale ebbe a scrivere con elegante taglio umanistico lo Sterpellone.

Il tedesco Alois Altzheimer (1864-1915), Direttore del Laboratorio della Clinica Neuropsichiatrica di Monaco di Baviera, nel 1906 descrisse per primo un caso di demenza senile, caratterizzata da disturbi della memoria, depressione ed allucinazioni, individuando nel cervello depositi di fibrosi, grovigli di neurofibrille, degenerazione e perdita di neuroni, ed, infine, atrofia cerebrale.

Altzheimer, nonostante la tepidezza del mondo scientifico tedesco di allora, continuò le sue ricerche, avvalendosi della collaborazione di un suo intelligente assistente,   il friulano Giacomo Perusini (1879-1915), che individuò la natura istologica delle lesioni cerebrali da lui evidenziate.

Ciò consentì l’inquadramento nosologico della demenza senile, che fu denominata malattia di Altzheimer-Perusini, ma perse, nel tempo, il nome Perusini, per una frettolosa cultura storico-medica, non infrequente nel mondo scientifico anglico.

Giacomo Perusini apparteneva ad una antica e nobile famiglia friulana, che ha sulla collina di Rocca Bernarda, a sud di Cividale del Friuli, un castello medievale, del quale restano le torri cilindriche angolari, trasformato nel 1576 in villa residenziale (Villa Perusini).

 

Il Perusini, morto lo stesso anno del suo Maestro, non potè continuare le ricerche che   stava conducendo sulla demenza senile e forse per questo, il suo nome fu dimenticato nella paternità che aveva con Alois Altzheimer, di predetto morbo.

La storia della medicina, non sempre insiste sulla prudenza e la precisione, che dovrebbero avere i suoi cultori, per cui, ora, si perdoni ad un vecchio medico di riproporre l’assunto del filosofo tedesco Georg Willhelm Friederich Hegel (1770-1831), che ebbe a dire che “gli uomini non hanno mai imparato nulla dalla storia’’ dissentendo in ciò dal nostro Cicerone (106-43 a. Cr.), che nel suo “De oratore’’, invece, riteneva che “Historia vero testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae’’.