I guerrieri dell'invisibile: mito e guarigione fra gli aborigeni dell'India

di

Stefano Beggiora

 

Nel corso di questi ultimi anni abbiamo avuto modo di portare la nostra attenzione sui processi di guarigione – pertanto studio, diagnosi e terapia della malattia - presso alcune popolazioni tribali nel mondo; nella fattispecie del nostro campo di competenze, in India. Il progetto originario di questo lavoro che intendiamo in progress era la creazione - anche grazie al contributo di specialisti di diverse competenze scientifiche - di una piattaforma multidisciplinare di prospettiva antropologico-psicoanalitica, che analizzasse anche attraverso il nostro studio sul campo, l’ampio e affascinante tema dello sciamanismo, della magia e della guarigione. Rimandiamo in nota alcuni riferimenti in proposito.[1]

È stato scritto indubbiamente moltissimo negli scorsi decenni sullo sciamanismo, termine che, vogliamo ricordarlo, è solo convenzionale per una tradizione di studi storico-religiosi[2] e che  testimonia lo sforzo di circoscrivere e definire un insieme di fenomeni di indubbia complessità.  Ma se lo sciamano riassume in sé le facoltà del medico, del guaritore, dell’uomo medicina, dell’esorcista, dell’operatore rituale, della guida spirituale del gruppo, e quante altre caratteristiche gli studiosi sono riusciti a definire nel corso dei più recenti studi, egli è anche una figura sfuggente, dai connotati arcaici, un fenomeno sociale e culturale pressoché estinto anche nelle più recondite propaggini geografiche del nostro pianeta[3]. Con nostra grande soddisfazione tuttavia ne abbiamo trovato traccia marcata presso le tribù adivasi, ovvero gli aborigeni dell’India, quegli stessi gruppi che il Governo indiano definisce oggi come ‘primitivi’ per struttura sociale e per condizioni di vita.

A fianco di molte interessanti testimonianze provenienti da altre parti del mondo che ci sono comunque pervenute nel corso delle nostre attività, vogliamo per il presente studio fare esplicito riferimento allo sciamanismo dei gruppi tribali che popolano le regioni centro-nord-orientali dell’India, dall’Orissa, al Bengala, all’Arunachal Pradesh, passando per la catena himalayana, dove abbiamo avuto modo di lavorare a lungo e condurre team di ricerca[4].

Presso queste comunità che vivono nel folto delle giungle indiane, spesso come dicevamo in condizioni di estrema arretratezza, sembra sopravvivere un atavico quanto intimo rapporto con l’ambiente circostante e le dure regole di sopravvivenza che vi vigono. Ci risulta interessante notificare come ogni malattia, ogni incidente, qualsivoglia avvenimento di una certa pericolosità o comunque al di fuori della norma, sia generalmente inteso come l’azione di un agente soprannaturale. Nella gran maggioranza dei casi, tali eventi sono direttamente attribuiti dagli sciamani all’azione nefasta di un qualche spirito maligno. Se così non fosse, generalmente le cause sarebbero riscontrabili nell’azione dell’anima di un defunto, quindi di uno spettro o ancora lo spirito di un antenato. Infatti, oltre alle visioni oniriche indotte da tali entità[5], anche la malattia, la casuale rottura di oggetti o altro ancora, sono ritenute essere l’unica modalità di comunicazione che gli spiriti dei trapassati hanno per entrare in contatto con i vivi. Nel caso di antenati o tutelari protettori del clan, tali ‘apparizioni’ potrebbero essere foriere di messaggi o avvertimenti importanti.

Per tale motivo lo sciamano è chiamato a ripristinare l’ordine delle cose, soggiogando i nemici, pacificando le deità, soddisfacendo la memoria degli antenati, nello sforzo di rinnovare una sorta di equilibrio cosmico. Il complesso processo di cura di una patologia ricalca a livello simbolico, come vedremo tra breve, il ricucire medesimo delle fratture di quello che abbiamo voluto chiamare ‘universo sciamanico’ e che incarna il primordiale rapporto fra l’uomo e le forze della natura[6].

Per questo, in caso di possessione da parte di una entità maligna, demoniaca, che è sempre la causa prima, soprannaturale di una patologia – infatti, secondo tale visione, la patologia nel nostro senso comune ne sarebbe solo l’effetto - lo sciamano è un guerriero che combatte una battaglia incorporea contro le forze destabilizzanti del cosmo, invisibili all’uomo comune. Ed è assolutamente affascinante, ci sia concessa questa parentesi, pensare alla figura, o meglio alla funzione del medico come all’immagine del guerriero per eccellenza[7].

Se ammettiamo infatti che l’attitudine terapeutica costituisca una delle dimensioni principali dell’attività dello sciamano, d’altro canto accetteremo che, in numerosi sistemi sciamanici del mondo, questa facoltà di guarire sia indissociabile dalla facoltà di nuocere. E prima ancora che con la spada, nei villaggi della foresta, da tempo immemorabile si combattono battaglie psichiche a colpi di arti sottili, laddove solo gli sciamani sembrano essere in grado di contrastare il ritualismo inferiore della stregoneria e della magia nera[8]. Fin dal periodo coloniale infatti, ma abbiamo studiato diversi casi ancor oggi, vi sono testimonianze circa la facoltà dei guerrieri delle tribù di trasformarsi in tigre e di attaccare il nemico in un processo di metamorfosi magica che ricorda da vicino la licantropia[9] delle tradizioni popolari della vecchia Europa. Gli sciamani in questi casi sono chiamati a spezzare il maleficio, liberando le vittime dal male, smascherando i responsabili o colpendoli a loro volta con una similare morte magica, interrompendo e sanando il dilagare della contaminazione psichica[10]. I rituali di guarigione, così come l’allontanamento di un qualche pericolo o maleficio, pur variando nelle forme, ripropongono una simbologia ricorrente nella cerimonialità esorcistica.

Il rituale di esorcismo[11] - molto lontano dai luoghi comuni sul tema e dall’immaginario cinematografico, seppure non privo di pathos, teatralità e talvolta di eventi anche terrificanti e prodigi inspiegabili -  di norma si svolge attraverso l’elaborata rappresentazione del cosmo. Questa è una simbologia costante nelle tradizioni orientali, ove gli addetti ai lavori riconosceranno il tema della rappresentazione del microcosmo nel macrocosmo. Lo sciamano quindi ricrea il cosmo, manifestandolo nuovamente e rinsaldando le eventuali spaccature. Questo avviene abitualmente attraverso una cerimonia in cui simbolicamente si celebra una cosmogonia, codificata attraverso i gesti e gli oggetti rituali, gli elementi usati nel rito (come ad esempio l’acqua, il fuoco, il riso, le pietre, il sangue stesso dei sacrifici) e, non certo ultimo per importanza, il mito. Attraverso la narrazione del mito cosmogonico, come a dire attraverso la ricostruzione dello stesso universo, evocato nelle litanie che laddove possibile abbiamo tradotto dalle lingue tribali[12], si chiamano a raccolta tutti i membri del villaggio e si rievocano, celebrandole, le generazioni passate dei clan dei villaggi. Attraverso l’immaginaria linea temporale che collegherebbe il principio dei tempi con il presente, si rivisita la storia del mondo nominando e chiamando a raccolta gli antenati, dai capostipiti della comunità alle ultime generazioni[13].

In alcuni casi il racconto della creazione del mondo culmina quasi in un dialogo fra i vivi e i defunti, quando lo sciamano entra in uno stato di trance e il suo corpo diventa veicolo per le entità sottili che vogliano manifestarsi e dialogare oggettivamente coi viventi[14]. Il confronto quindi fra le generazioni presenti e passate, sembra quasi la chiave di volta per la stabilizzazione dell’equilibrio universale, per la riappacificazione con le anime degli antenati e per la cacciata o la sottomissione delle entità maligne.

Con le dovute riserve del caso, traendo una generale panoramica da questi anni di studio su tali metodi terapeutici, vogliamo affermare provocatoriamente – e con questo rispondiamo a molte delle domande che ci sono state poste -  che il sistema funzioni. O per lo meno funzioni nella misura in cui, comunque, nel caso di fallimento del rituale vi siano eventi di differente entità valutati come complicazioni sull’intervento. Vogliamo qui sottolineare come i processi rituali dello sciamanismo asiatico siano talmente complessi che anche il potenziale fallimento nella prassi terapeutica sia codificabile attraverso un infinito parallelismo di effetti collaterali[15], sintomatici né più né meno di una negatività recidivante. Eppure esiste una notevole positività nei trattamenti e nei rimedi di alcuni specifici gruppi, che ad oggi non trova spiegazione scientifica.

Vogliamo altresì specificare che finora ci è interessato fondamentalmente sostenere questo studio sotto il profilo del fenomeno socio-culturale. Ma c’è anche chi ha cercato una giustificazione dello sciamanismo attraverso la via empirica[16]. Alcuni spunti senza dubbio ci risultano comunque di un certo interesse. Notifichiamo come ora, alcuni colleghi dell’università di Ranchi[17], ad esempio, stanno effettuando uno studio teso a isolare i principi attivi di alcune delle piante utilizzate nei rituali, per capire quali siano sintetizzabili ed efficaci veramente contro alcune patologie. È sicuramente un lavoro interessantissimo anche se non ci aspettiamo scoperte epocali. Infatti, ci preme sottolineare che secondo il quadro testé tratteggiato sullo sciamanismo asiatico, l’uso di piante e vegetali della farmacopea tradizionale delle tribù risulta comunque essere in secondo piano - o in alcuni casi assente del tutto - rispetto alla cura rituale del male. Complessivamente potremmo affermare che vi siano delle direttive di massima nella scelta degli ingredienti medicinali che in certa misura ricalcano le popolari credenze circa l’assunzione di determinati cibi. Alcuni di questi sono in maniera unanime considerati come più vitali o carichi di energia. Dalla mera osservazione esterna, per i vegetali, potremmo affermare che fra questi rientrino quelli contenenti più linfa, pertanto le foglie più verdi, i frutti più succosi o le piante che secernano oli o resine. Parimenti per le carni degli animali uccisi risultano più vitali, se non con proprietà terapeutiche, i centri sanguigni o ancora linfatici, o comunque quegli organi che presentino colorazione più carica o anomala. Tale dinamica più raramente si utilizza per l’osservazione e lo studio degli ingredienti medicinali ricavati da materiali minerali o dai metalli. Va da sé che nella miscellanea di tali elementi, molto probabilmente per la maggior parte inutili, vi siano comunque uno o più ingredienti della medicina tradizionale tribale con proprietà effettivamente terapeutiche[18]. Altresì interessante, rimanendo nell’ambito dello studio farmacologico presso alcune tribù primitive, è la tecnica d’osservazione degli effetti esteriori della malattia e della conseguente identificazione delle cosiddette malattie esterne o superficiali e delle malattie profonde. Per le prime sarà in genere prevista un’applicazione farmacologica di tipo topico, mentre per le seconde, si prevede che il paziente ingerisca la medicina. Fra i Bondo dell’Orissa, caso unico a nostro avviso in India, esiste addirittura una chirurgia tradizionale tribale per casi ritenuti estremamente gravi. Il medicine man, in tale contesto (come ad esempio per curare un frattura), apre delle profonde ferite sezionando con un coltello le fasce muscolari nel senso della lunghezza, senza reciderle e senza ledere organi interni; in queste apporrà degli impasti medicamentosi che si crede possano sanare il paziente dal male. Rispetto alla conoscenza iniziatica del cosmo sciamanico e delle forze invisibili della natura, qui ci troviamo indubbiamente di fronte a una perdita di parte della tradizione alta e all’esercizio di una sorta di pratica operatoria sostitutiva, perniciosa, dagli effetti setticemici con ogni probabilità devastanti. Eppure si tratta di una sorta di chirurgia primitiva, o meglio di una proto-chirurgia, che sembra riportarci agli albori delle prime comunità, attraverso l’immagine plausibile dei nostri antenati che muovevano i primi passi nella sperimentazione del metodo empirico. Ci pare un’opportunità impagabile anche il solo avere l’occasione di poter documentare un sistema come questo, indagandone i metodi che si basano comunque contemporaneamente tanto su di una reliquia culturale sciamanica, quanto su competenze di tipo anatomico[19].

Tornando al tema dei metalli e delle pietre, chi abbia familiarità con gli studi sullo sciamanismo ricorderà la ricorrente affinità simbolica fra tali operatori rituali e la metallurgia o la figura in senso lato del fabbro[20]. Altresì la pietra, per le sue caratteristiche di durezza, di forza e di permanenza è spesso interpretata nelle culture asiatiche come una ierofania. Nello sciamanismo dei nostri studi, notifichiamo come le proprietà dei due elementi si congiungano quasi in quelle che sono state definite pietre del fulmine. Si tratta di frammenti di pietre meteoritiche, – che evidentemente contengono una certa percentuale di metallo – talvolta parte di utensili preistorici, che è possibile reperire nell’area himalayana[21]. In molte culture, dall’Himalaya del versante indiano alle steppe buriate, si dice che le pietre cadute dal cielo assieme al fulmine favoriscano la pioggia e pertanto siano simbolo di fecondità. Tanto che gli sciamani himalayani, a scopo protettivo e apotropaico, ne pongono frammenti sotto le fondamenta della casa prima della sua edificazione. Il tema è comunque notorio e non ci dilunghiamo oltre; tuttavia meno noto è il fatto che presso le popolazioni in cui pietre di tale natura scarseggiano, come nelle foreste o nelle zone collinari degli interni dell’India, una funzione analoga è attribuita ai calcoli, o a formazioni analoghe di calcolosi o litiasi. Si tratterebbe infatti di concrezioni litiche autogeneratesi all’interno del corpo di animali o persone. Se da un lato nell’uomo vi è ancora una qualche difficoltà nella diagnosi, tali ritrovamenti ricorrono sporadicamente nelle pratiche di macellazione o sacrificio – caso particolarmente auspicioso – di animali da cortile e vittime rituali. L’efficacia delle pietre tuttavia non è mai insita nella mera materia, ma esse stesse partecipano di un principio, incarnano un simbolo, esprimono una simpatia cosmica traducendo un’origine celeste o comunque soprannaturale nei differenti casi che abbiamo citato più sopra. Tali pietre quindi sono segni di una realtà spirituale altra o strumenti di una forza sacra alla quale servono soltanto da ricettacolo.

Abbandonando quindi le tecniche d’approccio al metodo empirico, che abbiamo citato solo a titolo d’esempio, a noi è interessato fondamentalmente indagare - secondo la prospettiva che abbiamo definito di antropologia psicoanalitica – il tema dell’allontanamento del male che sembra avvenire attraverso un complesso processo di guarigione collettiva[22]. Tale guarigione a sua volta si traduce nelle forme dinamiche dell’esorcismo, della battaglia cosmica, del dialogo incessante fra i vivi e i defunti, dove la costante è comunque il rapporto fra gruppo e individuo, attraverso la celebrazione stessa della manifestazione cosmica. Per questo motivo, il ‘Tempo delle Origini’ è un tempo ricorsivo[23]. Non è semplicemente posto "indietro", secondo un criterio lineare, ma continua a scorrere nella dimensione dell'invisibile, a rivelarsi nei sogni dello sciamano e a rigenerarsi nella tradizione orale del gruppo.

 

Bibliografia

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Abstract:

Drawing on the material of his personal fieldwork in India, the author analyze the social context of the shamanism among the tribal communities of Orissa and Arunachal Pradesh. This is a cultural  phenomenon whose varied forms and multiple functions make it difficult to define. Shamans are the keepers of the traditional knowledge of the village, the ones who guarantee the future of the clans and the equilibrium of the cosmos. Through the shaman’s individual experience of possession, the community interprets disease as a message from the dead/spirits and eventually deals with the crisis by confirming and renewing the cohesion of domestic and kinship bondages with spirits and ancestors. The chapter discusses some of the ritual healing practices, the principles of ethno-botany and tribal medicine, and in conclusion an unusual kind of primitive surgery.

Keywords:

India, Tribes, Shamanism, Tribal Medicine, Primitive Surgery.

 

Riassunto:

Sulla base della personale esperienza di ricerca sul campo in India, l’autore analizza secondo una prospettiva antropologico-psicanalitica, lo sciamanismo di alcune comunità tribali degli stati dell’Orissa  e dell’Arunachal Pradesh. I fenomeni documentati, pur difficili da circoscrivere in un paradigma assoluto, ci tratteggiano la figura sciamanica come centrale nella guida della tribù. Custode del sapere della propria comunità, lo sciamano combatte una battaglia sottile contro le forze destabilizzanti del cosmo ed è chiamato a preservare l’equilibrio arcaico fra uomo e natura. Tramite la possessione, lo sciamano realizza un dialogo costante fra la sua comunità e gli spiriti degli antenati; rievocando il mito cosmogonico egli rigenera l’universo in una cerimonia di guarigione collettiva. In conclusione si discutono alcuni principi della farmacopea tribale e una singolare tecnica di proto-chirurgia.

Parole chiave:

India, Tribù, Sciamanismo, Farmacopea tribale, Chirurgia primitiva.


 

[1] La nostra personale formazione sarebbe di tipo indologico; citiamo alcuni fra i nostri contributi al progetto di studio: Il sogno e lo sciamano nei gruppi tribali sub – himalayani, Convegno Internazionale “Gruppo Sogno e Mito”, Roma, La Sapienza, giugno 2002; Lo sciamano e il gruppo, ancestralità e dialoghi con i defunti nelle comunità tribali dell’India orientale, Convegno Nazionale: “Dallo sciamanesimo alla psicologia medica nell’era della tecnica, Antropologia e Psicanalisi, le figure del dialogo”, L’Aquila, Università degli Studi dell’Aquila, maggio 2007; redazione area tematica: Magia, sciamani e guaritori; Psychomedia, Salute mentale e comunicazione (sottosezione: Relazione gruppo-individuo), http://www.psychomedia.it/pm/grpind/magndx1.htm.

[2] Ci pare il caso di ricordare almeno l’autore è l’opera capostipite di un filone di studi di tale disciplina, di cui segnaliamo un’edizione italiana. Eliade M.: Lo sciamanismo e le tecniche dell’estasi. Roma, Edizioni Mediterranee, 2005.

[3] Price N.S.: The Archaeology of Shamanism, New York: Routledge, 2001; 3-55.

[4] Nel presente lavoro faremo riferimento principalmente alle tradizioni delle tribù Saora e Khond dell’Orissa, e Apatani e Monpa dell’Arunachal Pradesh.

[5] Perché il sogno stesso rappresenta una visione del soprannaturale; si veda: Beggiora S., Caldironi L., Giampà M., Il sogno e lo sciamano nei gruppi tribali sub-himalayani. Funzione Gamma Journal, 2002, N° 9: ‘Mito, sogno e gruppo’, Facoltà di Psicologia – Università la Sapienza di Roma (ac. di Taeschner T., Neri C., Crucioni P.)

[6] Nicholson S.: Shamanism. Varanasi: Pilgrims Publishing, 1981; 17-46

[7] AA.VV., L’Ethnographie. Voyages chamaniques deux. vol. 124 (77), Paris : CNRS, Societé d’ethnographie, 1982; 87-88, LXXVIII, 85-112.

[8] Saletore R.N.: Indian Witchcraft. A Study in Indian Occultism. New Delhi: Abhinav Publications, 1981; 100-03, 129.

[9] Notifichiamo come nella nostra epoca, dei cosiddetti cross gender studies, regni talvolta grande confusione su questi temi o si faccia difficoltà a collocare nel giusto ambito i fenomeni. È assolutamente incredibile notare come invece nel periodo coloniale, gli Inglesi pur con la tracotante arroganza e presunzione tipica del periodo, distinguevano spesso lucidamente ciò che documentavano forse per la prima volta, si trattasse di religioni o eresie, superstizioni popolari o ancora magia; segnaliamo a tale proposito l’autentica miniera di dati in Crooke W.:, The popular Religion and Folk-Lore of Northern India. New Delhi: Munshiram Manoharlal Publishers, 1896; vol. 1-2.

[10] Evidenziamo qui come lo sciamano non abbia nulla a che vedere con la stregoneria e la magia; anzi, pur potendone avere padronanza, nella sua funzione egli ne è l’antitesi. Per chi non abbia familiarità con studi orientali o con lo sciamanismo, segnaliamo comunque il celebre studio di Ginzburg circa le tradizioni del nostro paese; l’autore trova nell’antitesi beandanti-stregoneria una sorta di possibile parallelismo con la funzione sciamanica ora illustrata (solo e specificamente in questa accezione). Interessanti anche qui i rimandi alla licantropia. Ginzburg C.: I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento. Torino: Einaudi, 2002; XIII, 88.

[11] Ne abbiamo documentati molti nel corso del nostro studio; rimandiamo ai più completi che includono oltre alla prassi anche la traduzione delle liturgie. Beggiora S.: Sonum, spiriti della giungla Lo sciamanismo delle tribù Saora dell’Orissa. Milano: Franco Angeli, 2003. Inoltre: Beggiora S.: La voce degli Ildaji. Dialoghi con i defunti e ancestralità nella prassi rituale di una tribù dell’India. in: AA.VV.: Studi tanatologici. Milano: Bruno Mondadori, 2007 (ac. di M. Sozzi), 333-63.

[12] Si veda nota precedente; uno studio analogo è stato presentato all’Università degli Studi dell’Aquila, si veda la prima nota.

[13] Questo processo, come vedremo in chiusura, annulla la dimensione temporale. Interessante però che si tratta di una tradizione a trasmissione orale, pertanto le genealogie si tramandano di padre in figlio, da maestro a iniziato e si recitano, aggiornandole, in quanto apprese e mandate a memoria di generazione in generazione. Documentiamo, nelle liturgie segnalate alle precedenti note, di una sciamana che ricordava addirittura quaranta generazioni del suo lignaggio iniziatico. Ammesso che questo corrisponda al vero e calcolando uno scarto generazionale di ventri-trent’anni, quella sciamana ricordava a memoria le generazioni del suo villaggio degli ultimi mille anni circa!

[14] Seppur afferente ad aree geografiche differenti segnaliamo l’interessante e recente lavoro di Cohen E.: The Mind Possessed, New York: Oxford University Press, 2007.

[15] Beggiora S., Caldironi L., Giampà M.: Sogno iniziatico e stato oniroide nello sciamanismo indiano e sub-himalayano.  In: Marinelli S., Vasta F.N. (eds.), Mito sogno gruppo. Roma: Borla, 2004; 207-12.

[16] Alcune prospettive sono indubbiamente sorpassate; per un sunto critico circa i metodi scientifici d’indagine relativamente a questi temi, interessante il lavoro di Morris B.: Religion and Anthropology. A critical Introduction. New York: Cambridge University Press, 2005; 14-43.

[17] Si tratta del team del prof. B.B. Pandey, con cui abbiamo in passato collaborato, del Dept. of Anthropology dell’università di Ranchi, la capitale dello stato del Jharkhand, incastonato fra Orissa, Bihar e West Bengal è un territorio per molti versi ancora selvaggio, che presenta un’alta percentuale di popolazione tribale.

[18] AA.VV.: Tribal Medicine and Medicinemen: an Exploratory Study of the Didayi of Orissa. Adivasi, 1997; XXXVII, 2: 72-103; Biswal A.K., Rath A., Patnaik N.: Tribal Culture and Ethnobotany (A Study of the Juang and Some Useful Plants). Adivasi, 1997; XXXVII, 2: 20–32.

[19] Intendiamo dire che se un metodo è fallimentare, con ogni probabilità sarà abbandonato o adeguatamente corretto nel tempo. Del resto notiamo che lo sciamanismo di queste tribù veicola di fatto elementi e simboli arcaici, tuttavia si basa su di una prassi trasmessa oralmente, variabile e in costante trasformazione come la stessa cultura di queste comunità. Testimoniamo infatti come il metodo proto-chirurgico che abbiamo esposto sia pressoché scomparso, il suo permanere però sembra trovare giustificazione nello sforzo di equilibrio degli elementi, delle energie corporee in senso lato, che è comunque una costante riscontrabile in tutte le medicine orientali. Behura N.K.: Cultural Dimension of Diseases and Their Treatment (case Studies from Tribal Societies of Orissa. Adivasi, 1997; XXXVII, 2: 1-19; AA.VV.: Tribal Medicine and Medicinemen: an Exploratory Study of the Bondo of Orissa. Adivasi, 1997; XXXVII, 2: 33-71.

[20] Nella vasta bibliografia a disposizione segnaliamo la sezione Sciamani e fabbri, della vasta opera sul mito e il simbolismo del  pensiero arcaico in: Santillana G. de, Dechend H. von: Il mulino di Amleto. Saggio sul mito e sulla struttura del tempo. Milano: Adelphi, 2007; 143-165.

[21] Eliade M.: Trattato di storia delle religioni. Torino: Bollati Boringhieri, 2008; 206. In realtà per pietre del fulmine alcuni intendono pietre utilizzate per utensili preistorici o neolitici, comunque realizzate in materiale per forza di cose duro e tagliente. La sacralità dell’oggetto deriva dall’essere appartenuto agli antenati. Ugualmente, anche alla luce del discorso che introduciamo sulla litiasi negli animali, concrezioni calcaree o altre anomalie, furono utilizzate in vari luoghi del mondo come componenti di primitivi utensili o comunque come oggetti sacri.

[22] Kakar S.: The Analyst and the Mystic. In: Kakar S.: Indian Identity. Three Studies in Psychology. Delhi: Penguin Books, 2007; 177-88.

[23] Spagna F.: L'ospite selvaggio. Torino: Il Segnalibro, 1998; 95.