Aneurismi rotti dell'aorta addominale e sindrome compartimentale: nostra esperienza

P. Costa, A. Varroni, M. Massucci, G. Ianni, M. Mastroddi, M. Manno, M. Misuraca, F. Napoli, G. Bertoletti

U.O.C di Chirurgia Vascolare - Ospedale Santa Maria Goretti - Latina

 

La sindrome compartimentale viene definita come un incremento della pressione all'interno di uno spazio anatomico definito con conseguente riduzione della perfusione ematica e disfunzione d'organo che, se protratta nel tempo, può diventare irreversibile. L'addome rappresenta un compartimento e l'incremento della pressione al suo interno (IAP: intra-abdominal pressure) causa complicanze potenzialmente fatali.

La sindrome compartimentale addominale è una possibile complicanza nei pazienti politraumatizzati . Più recentemente è stata riconosciuta come grave complicanza del periodo post-operatorio di pazienti particolarmente critici, con degenze prolungate in unità di terapia intensiva.

Un aumento della pressione addominale è definito come un aumento della pressione al di sopra della pressione atmosferica così da configurarsi una ipertensione intra-addominale (IAH: intra-abdominal hypertension).  Questa elevazione di pressione inevitabilmente comporta una serie di fenomeni fisiologici "a cascata" che possono determinare una sindrome compartimentale addominale. La prima manifestazione dell'ipertensione intra-addominale è la diminuzione della pressione di perfusione addominale (APP: abdominal perfusion pressure) che è uguale alla pressione arteriosa media meno la pressione intra-addominale. Le linee guida consigliano infatti di mantenere la pressione di perfusione addominale al di sopra di 50 - 60 mm Hg.

In questi ultimi anni sono stati fatti notevoli sforzi per standardizzare e definire al meglio sia cosa bisogna intendere per sindrome compartimentale, sia quali sono i provvedimenti medici e chirurgici da utilizzare nelle varie fasi di questa condizione. La definizione di sindrome compartimentale addominale è di una pressione intra-addominale continuativamente maggiore di 20 mm Hg associata ad una nuova disfunzione d'organo, a prescindere dai livelli di pressione di perfusione addominale.

Da poco più di un decennio sono iniziati a comparire lavori in letteratura in cui veniva evidenziato un aumento della pressione intra-addominale in pazienti sottoposti a chirurgia aortica. In particolar modo dopo interventi chirurgici effettuati per aneurismi dell'aorta addominale rotti, l'insufficienza multi-organo rappresenta una complicanza comune ed uno dei fattori più importanti di mortalità post-operatoria. Appare evidente come l'aumento della pressione addominale, soprattutto se concretizzata clinicamente in una sindrome compartimentale, contribuisca in maniera significativa all'instaurarsi di una severa insufficienza multi-organo.

L'avvento del trattamento endovascolare anche nel campo degli aneurisma rotti dell'aorta addominale non sembra aver ridotto l'incidenza dell'ipertensione addominale e della sindrome compartimentale. Infatti la mini-invasività della procedura endovascolare ha ridotto le perdite ematiche e la risposta infiammatoria sistemica citochine-mediata dovuta al clampaggio aortico ed alla successiva riperfusione d'organo, ma non ha potuto eliminare i fattori di rischio legati alla somministrazione massiva di fluidi nel periodo rianimatorio ed alla presenza stessa dell'ematoma che comporta di per se stesso un aumento di volume e quindi di pressione all'interno dell'addome in assenza di laparotomia.

Nostra esperienza

Dal gennaio 2012 al dicembre 2014, 48 pazienti sono giunti nel nostro ospedale con diagnosi di rottura di aneurisma dell'aorta addominale. Di questi, 39 sono stati trattati tecnica endovascolare e 9 sono stati trattati con chirurgia aperta tramite una laparotomia mediana. La decisione riguardo al tipo di trattamento, Open o EVAR, è stata presa dal chirurgo vascolare di guardia a seconda di criteri anatomici e di preferenza personale. La TC pre-operatoria, quando non già effettuata presso l'ospedale afferente, è stata effettuata nella quasi totalità dei casi, ad eccezione di pazienti con importante instabilità emodinamica che sono stati trasferiti in sala operatoria direttamente, senza aver effettuato una TC pre-operatoria, e sottoposti ad intervento open. In un caso, abbiamo posizionato un pallone per il clampaggio aortico, per via femorale, direttamente al pronto soccorso ed il paziente è stato poi trasferito in sala operatoria per  il trattamento open.

Una aggressiva resuscitazione è stata effettuata solo in pazienti con segni di ipoperfusione cerebrale e coma, pressione arteriosa non rilevabile e comunque inferiore a 60 mmHg, pO2 minore di 60, ph minore di 7,15. In questi pazienti si è resa necessaria l'intubazione oro-tracheale e la somministrazione di cristalloidi  per garantire livelli accettabili di perfusione cerebrale e d'organo. La somministrazione di cristalloidi è stata prontamente ridotta al raggiungimento di pressione arteriosa sistolica di 70 mm Hg.

Nei pazienti con pressione arteriosa rilevabile, maggiore di 70 mm Hg, è stata adottata una politica di emostasi ipotensiva, con ridotta somministrazione di fluidi, in pazienti a coscienza conservata  in grado di comunicare e senza deficit di motilità.

In questi pazienti una Monitored Anesthesia Care (MAC) è stata preferita. La MAC viene definita come una situazione in cui l’anestesista e’ chiamato a prestare la sua opera ad un paziente secondo una procedura pianificata, in base alla quale il paziente viene sottoposto a tecniche di anestesia locale o loco regionale associate a procedure di sedo analgesia, pertanto gli obiettivi della MAC o sedazione cosciente sono rappresentati da sedazione sicura, associata ad ansiolisi ed analgesia.

 

Le procedure sono state effettuate in sala operatoria, con anestesia generale o anestesia locale, con preparazione bilaterale dei vasi femorali. In alcuni pazienti operati in anestesia locale, la tecnica del fascial closure è stata adottata in maniera da ridurre i tempi della preparazione e contenere la somministrazione di anestetico locale.

Negli interventi endovascolari, le protesi preferite sono state le aorto-bis-iliache, mentre le aorto-uni-iliache sono state riservate ai casi di ostruzione pregressa di un asse iliaco o ad alcuni casi di conversione per impossibilità di cannulare il gate controlaterale. La conversione in aorto-uni-iliaco è stata preferita anche nei casi di difficoltà eccessiva alla cannulazione del gate, in maniera da sigillare l'aneurisma in tempi più contenuti.

La sindrome compartimentale addominale è stata diagnosticata sulla base di alcuni criteri ben noti, quali la tensione addominale, l'oliguria, l'aumento della pressione venosa centrale, la diminuzione dell'output cardiaco ed infine l'aumento della pressione vescicale, che, come noto, ben si correla con la pressione intra-addominale.

In caso di diagnosi di sindrome compartimentale, il paziente è stato immediatamente sottoposto a decompressione chirurgica mediante laparotomia mediana e chiusura temporanea con teli plastici sterili trasparenti non adesivi (Bogotà Bag).

La mortalità perioperatoria è stata del 31%. Nei pazienti che hanno sviluppato una sindrome compartimentale (8) la mortalità è stata del 62%.

Conclusioni

In conclusione, la metodica EVAR è diventata nel nostro centro quella più utilizzata per il trattamento degli aneurismi rotti dell'aorta addominale in pazienti con caratteristiche anatomiche adeguate. Questo per la minore invasività insita nel trattamento endovascolare, per la disponibilità di un magazzino di dispositvi impiantabili in grado di far fronte alla maggior parte delle emergenze, ed alla maggiore confidenza via via acquisita nel tempo sia dai chirurghi vascolari sia da tutta l'equipe anestesiologica ed infermieristica.

Bibliografia

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