Il tromboembolismo: la Farmacoeconomia
Pier Luigi Antignani
Il tromboembolismo venoso per le sua implicazioni cliniche e sociali necessita di una accurata valutazione della farmaco economia del trattamento.
Attraverso strumenti quali, ad esempio, l’analisi costo-efficacia, si mettono a confronto i benefici di un trattamento farmacologico con le risorse e quindi i costi che fa sopportare.
Le competenze del clinico si coniugano con la sua esperienza e permettono di interpretare correttamente i risultati di una sperimentazione clinica, di verificarne la portata e l’innovazione nell’ambito della patologia di riferimento, di confrontare l’efficacia di un farmaco con quella degli altri disponibili per lo stesso tipo di paziente o condizione. Non solo le conoscenze del clinico forniscono queste informazioni indispensabili, ma anche la sua capacità di sintetizzare le evidenze derivanti dalla sua pratica medica. Ciò che infatti spesso si ignora e che l’efficacia risultante nelle sperimentazioni cliniche è fondamentale per registrare un farmaco e per sottoporlo alla valutazione economica, ma anche la rilevazione dell’efficacia reale, di quella che si può misurare nella pratica medica, sta assumendo un ruolo rilevante nell’orientare le scelte di politica sanitaria.
La seconda è rappresentata dalla necessità di aumentare la consapevolezza nel clinico della sua responsabilità di fornitore di benessere. Potrà apparire scontato visto che il medico trova nella definizione stessa della sua professione questa consapevolezza. Tuttavia merita una precisazione. Per benessere qui s’intende il benessere economico, inteso come il risultato del consumo di risorse per il soddisfacimento di determinati bisogni. Visto nella prospettiva non del singolo individuo, per il quale potremmo giustificare il consumo senza limiti di risorse sanitarie al fine di ottenere il massimo della sua soddisfazione, il benessere economico si ottiene utilizzando al meglio le risorse disponibili per offrire il massimo di efficacia possibile ad una data comunità di individui. Pertanto, mantenendo la legittima sfera di autonomia decisionale del medico di fronte al singolo paziente, con la farmacoeconomia si intende fornirgli degli strumenti per poter decidere tenendo conto dell’insieme dei pazienti che è chiamato a seguire nei percorsi diagnostici terapeutici.
Il vincolo delle risorse non va visto come un fastidioso inciampo contabile, bensì come l’opportunità di scoprire l’utilizzazione delle stesse che aumentino l’efficienza della pratica medica. E l’efficienza altro non è se non il raggiungimento del massimo obiettivo dato il vincolo delle risorse finite.
Nel 2007 la spesa sanitaria ha rappresentato circa il 9% dell'intera ricchezza prodotta mediamente nei principali Paesi industrializzati.
L'Italia, sommando la spesa privata a quella pubblica, si attesta all'8,7%, mentre altri Paesi sostengono quote di spesa ben più elevate, come la Germania con il 10,4%, la Svizzera con il 10,8%, la Francia con l'11%; gli Stati uniti rappresentano l'estremo superiore con il 16% del PIL.
La quota di spesa assorbita per singoli grandi gruppi di malattie è interessante in una prospettiva di miglioramento dell'appropriatezza e del costo-efficacia della spesa stessa.
Il costo delle malattie cardiovascolari per l'intera Unione Europea a 25 Paesi è stato stimato in più di € 109 miliardi nel 2006.
Se a questi costi si aggiungono i costi indiretti, cioè il valore della perdita di produzione e produttività a causa della morbilità e della morte dei soggetti colpiti da malattie cardiovascolari, si arriva a un totale di € 192 miliardi. Si ricorda che le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte nell'intera UE.
La spesa per i farmaci è in media il 27% della spesa totale, da un minimo dell'11% in Polonia a un massimo di oltre il 50% in Grecia e Portogallo. Rapportato a ciascun cittadino della UE, il costo sanitario delle malattie cardiovascolari è mediamente di € 223 all'anno. La stima per l'Italia è di € 235, vicina a quella della Francia, ma ben al di sotto di quella di Germania e Gran Bretagna, rispettivamente di € 413 e € 313, ma superiore alla Spagna con € 130.
La disponibilità di nuovi farmaci e di altre tecnologie ha portato con sé un'espansione della spesa per le malattie cardiovascolari, a fronte di un aumento della sopravvivenza e spesso della qualità di vita dei pazienti. Sarebbe quindi sempre più importante scegliere fra tecnologie alternative, incentivando quelle costo-efficaci, consapevoli che in ogni caso i costi sanitari non potranno che crescere.
Valutare economicamente il processo clinico potrà infatti consentire, assieme ad altri fattori, la realizzazione di una riforma profonda del sistema sanitario, nel quale le strutture di offerta e i clinici siano messi in concorrenza sugli esiti delle loro attività.
Poiché l’obiettivo è il
benessere dell’individuo, la tecnologia sanitaria viene valutata su tre livelli:
1. Efficienza tecnica: come ottenere il massimo di guarigioni, di anni di vita
guadagnati per quanto riguarda le terapie farmacologiche, il massimo di pazienti
trattati ecc., con una dotazione di risorse. Si tratta di conoscere la “funzione
di produzione”, cioè il modo in cui, date le conoscenze del momento, è possibile
combinare i fattori di produzione (tempo del medico, farmaci, test ecc.) per
ottenere i livelli massimi possibili di output.
2. Efficienza allocativa:
all’efficienza precedente si aggiunge l’attenzione per i costi dei singoli
fattori di produzione, la cui scelta andrà dunque fatta puntando al massimo del
prodotto con il minimo dei costi.
3. Valutazione economica (analisi costo-efficacia, costo-beneficio): verificare se l’impiego efficiente di una tecnologia risponde agli obiettivi di massimizzazione del benessere (l’impiego di un’apparecchiatura diagnostica può ottenere il massimo di pazienti positivi, ma non il massimo di anni di vita salvati).
Valutando infatti sia i costi sia i benefici, è razionale scegliere il livello e l’intensità di assistenza in corrispondenza della distanza massima tra la curva dei benefici e quella dei costi. Normalmente si assume che i benefici crescano all’aumentare dell’intensità di assistenza e quindi di spesa, ma con un andamento decrescente in termini marginali: ogni euro aggiunto dà progressivamente un incremento di salute decrescente, al punto che, oltre un certo livello di assistenza, si potrebbe avere un incremento nullo del beneficio (addirittura si potrebbe avere una diminuzione dei benefici per un’eccessiva medicalizzazione che si potrebbe risolvere in effetti iatrogeni per il paziente). D’altra parte, i costi hanno un andamento simmetrico, cioè ulteriori aumenti di assistenza sanitaria sono sempre più costosi, determinando la pendenza ripida della curva dei costi. La differenza fra i benefici e i costi è massima ove il costo marginale uguaglia il beneficio marginale. È razionale pertanto spendere in assistenza sanitaria fino al punto in cui il costo aggiuntivo è pari al beneficio che si ottiene grazie a quell’aumento di spesa (spendere un solo euro in più comporterebbe un beneficio inferiore a quell’euro, mentre fermarsi prima impedirebbe di ottenere il massimo dei benefici totali).
Sulla base dei criteri di appropriatezza clinica, è frequente trovarsi di fronte a possibili alternative terapeutiche nella cura dell’ipertensione o di altre condizioni cardiovascolari. Spesso infatti il clinico dispone di differenti principi attivi indicati per la medesima condizione e giudicati appropriati per quella categoria di pazienti. Qualora l’efficacia sia sovrapponibile fra le diverse molecole, appare evidente la convenienza di scegliere la terapia che farà sopportare un costo totale per paziente inferiore. Si tratta cioè di minimizzare i costi a parità di efficacia. La minimizzazione dei costi è dunque un esercizio piuttosto facile nel momento in cui le evidenze cliniche siano solide e permettano dunque l’intercambiabilità di una terapia con l’altra. L’attenzione in questo caso andrà posta soprattutto sulla quantificazione dei costi. Vi sono però casi in cui le terapie a disposizione producono risultati di efficacia diversi, ad esempio una diversa incidenza di eventi cardiovascolari, una ridotta mortalità. Ai costi andranno pertanto affiancati i risultati attesi di efficacia e il confronto sarà dunque possibile, fra due o più terapie, ricorrendo al rapporto costo-efficacia incrementale: si tratta cioè di misurare a quale costo aggiuntivo si possa ottenere, con ragionevole probabilità, ad esempio un anno di vita in più per un certo numero di pazienti.
In questo contesto si suggeriscono due cautele da considerare prima della scelta di una terapia: la prima, è che vale la pena prescrivere il farmaco “costo-efficace” se e solo se l’incremento di efficacia è rilevante, tenendo conto della compatibilità economica del relativo aumento di spesa; la seconda, è che la disponibilità sempre più crescente di farmaci con il brevetto scaduto rende convenienti terapie che prima non lo erano affatto, oppure rende ancora più costo-efficaci terapie che già avevano questo riconoscimento con i prezzi del farmaco coperto da brevetto.
In conclusione, è quindi importante tenere conto non solo del costo della terapia, ma anche del suo rapporto con i risultati di efficacia, e poiché i costi aggiuntivi richiesti per guadagnare un anno di vita possono, sommati per un numero ampio di pazienti, portare a sensibili incrementi di spesa sanitaria, ecco che il ricorso al farmaco con brevetto scaduto non può che portare o risparmi di spesa a parità di efficacia o incrementi molto contenuti.
Bibliografia essenziale :
1. European Heart Network.
European
cardiovascular disease statistics, 2008 edition.
2. Gruppo di lavoro OsMed. L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale gennaio-settembre 2009. Roma, dicembre 2009.
3. Heart Disease and Stroke Statistics 2010 Update. A Report From the American
Heart Association.
Circulation 2010; 121:e1-e170
4. Kesselheim AS, et al. Extensions of intellectual property rights and delayed adoption of generic drugs: effects on Medicaid spending. Health Affairs 25, no. 6 (2006):1637-47.
5. OECD. OECD Health Data 2009, November 09.
.
PER LA CORRISPONDENZA
Pier Luigi Antignani
Direttore UOC di Angiologia
Azienda Ospedaliera s.Giovanni-Addolorata
Via Amba Aradam 9
Roma