FISIOPATOLOGIA MOLECOLARE DELLA NAFLD
Roberto Villani
UOC Epatologia (Direttore Prof. F. Soccorsi)
Azienda Ospedaliera San Camillo Forlanini - Roma
ABSTRACT: NAFLD can either be a benign, non inflammatory condition that appears to have no adverse sequelae or can be associated with steatohepatitis: a condition that can result in end-stage liver disease and hepatocellular carcinoma. . Here we highlight recent advances in understanding of the molecular events contributing to hepatic steatosis and nonalcoholic steatohepatitis.
Parole chiave: NAFLD, NASH, citochine, adipochine, Fattori di trascrizione.
Il termine clinico-patologico di Epatopatia Steatosica Non Alcolica (Non Alcoholic Fatty Liver Disease – NAFLD) si riferisce ad uno spettro di quadri clinici che vanno dal semplice accumulo di trigliceridi all’interno degli epatociti (steatosi semplice) fino alla steatosi con associata infiammazione (steatoepatite non alcolica – NASH), fibrosi e infine cirrosi.
Day et al. hanno proposto un modello patogenetico, cosiddetto “two-hit”, per spiegare la progressione della NAFLD. Il primo “colpo” (first hit) determina la deposizione di trigliceridi nel citoplasma degli epatociti, ma la malattia non progredisce ulteriormente fino a che non si verifica un evento cellulare addizionale (il “second hit”) che promuove infiammazione, morte cellulare e fibrosi, che sono poi le caratteristiche istopatologiche della steatoepatite non alcolica (NASH).
In questa relazione verranno analizzati dapprima i principali meccanismi molecolari che conducono allo sviluppo della steatosi epatica, in particolare il ruolo dei mediatori molecolari della lipogenesi, e successivamente verrà illustrata la fisiopatologia molecolare della progressione di malattia, dalla steatosi alla steatoepatite (NASH), con particolare riguardo al ruolo dello stress ossidativo e dell’attivazione ed espressione delle citochine infiammatorie e fibrogenetiche.
Mediatori molecolari della lipogenesi e loro ruolo nella steatosi epatica
Il fegato gioca un ruolo centrale nel metabolismo dei lipidi, dal momento della captazione degli acidi grassi liberi dal siero fino alla sintesi, immagazzinamento e dismissione delle lipoproteine nella circolazione. I meccanismi fisiopatologici che portano alla NAFLD non sono completamente noti, in particolare non sono ben chiari i fattori che conducono al progressivo danno degli epatociti a seguito dell’accumulo dei trigliceridi al loro interno. Sembra che alterazioni di fattori locali e sistemici, ed in particolare l’insulino-resistenza, siano alla base del processo patologico a causa del controllo che questi esercitano sul bilancio tra l’afflusso e la sintesi di lipidi epatici e la loro esportazione od ossidazione e il relativo accumulo di trigliceridi all’interno degli epatociti. Il fegato steatosico sarebbe quindi più vulnerabile ad insulti secondari che determinano infiammazione e fibrosi. Molti fattori sono stati considerati capaci del “second hit”, inclusi gli ormoni derivati dall’organo adiposo (adipocitochine), lo stress ossidativo ed endotossine batteriche di provenienza intestinale.
Resistenza insulinica e Metabolismo epatico dei lipidi
La resistenza insulinica è caratterizzata da iperinsulinemia, aumento di produzione di glucosio epatico e sua diminuita disponibilità.
La patogenesi della resistenza insulinica è molto complessa e probabilmente coinvolge sia polimorfismi genetici, che influenzano la sintesi e l’azione dell’insulina, che fattori ambientali che promuovono l’obesità e la sedentarietà. La iperinsulinemia che ne deriva aumenta i livelli di acidi grassi liberi nel siero che poi vengono captati dagli epatociti e incorporati nei trigliceridi con formazione di steatosi epatica. L’iperinsulinemia cronica inoltre facilita la lipogenesi epatica de novo attraverso l’aumentata sintesi di fattori di trascrizione.
Normalmente le lipoproteine a bassissima densità (VLDL) vengono sintetizzate nel fegato con la partecipazione della “proteina microsomiale di trasferimento dei trigliceridi” (MTP) che incorpora i trigliceridi nella apoproteina B (apo-B). Una riduzione della attività della MTP e della sintesi e secrezione delle Apo-B può alterare l’esportazione dei lipidi e favorire il loro accumulo negli epatociti.
Negli adipociti, inoltre, la resistenza insulinica aumenta l’attività della lipasi ormono-sensibile con risultante incremento della lipolisi dei trigliceridi e aumentato flusso di acidi grassi liberi (FFA) verso il fegato. Gli FFA possono essere ossidati nei mitocondri per formare ATP ovvero essere esterificati per produrre trigliceridi, che vengono stoccati nelle cellule epatiche o incorporati nelle VLDL per la secrezione. Nel fegato invece l’iperinsulinemia agisce sulla SREBP-1c (sterol regulator element-binding protein-1c), un importante fattore di trascrizione che attiva i geni lipogenetici, mentre l’iperglicemia stimola la ChREBP (carbohydrate response element binding protein ) che attiva in via trascrizionale la L-PK (liver-type pyruvate kinase) e ancora tutti i geni lipogenetici. L’azione sinergica di SREBP-1 e di ChREBP attiva in modo coordinato gli enzimi necessari per la conversione dell’eccesso di glucosio in acidi grassi. Una conseguenza dell’incremento della sintesi di acidi grassi è la aumentata produzione di malonil-CoA, che inibisce la CPT-1 (carnitina palmitoil transferasi -1), la proteina responsabile del trasporto degli acidi grassi nei mitocondri. Pertanto a seguito di insulinoresistenza gli FFA che arrivano nel fegato dalla periferia, così come quelli derivati dalla sintesi de novo, saranno preferibilmente esterificati nei trigliceridi.
Un terzo fattore di trascrizione che partecipa nello sviluppo della steatosi epatica nei topi sono i PPAR. I PPAR sono membri della superfamiglia dei recettori nucleari ormonali, richiesti per numerose funzioni cellulari. Sono note almeno tre classi di PPAR (PPAR-alfa, - delta - noti anche come beta e –gamma).
Il PPAR-alfa è espresso principalmente nel fegato, nel muscolo scheletrico, nel cuore, nelle cellule endoteliali e nel muscolo liscio della parete vascolare. Regola geni che influenzano il metabolismo delle lipoproteine e la captazione e l’ossidazione degli acidi grassi così come la produzione di marcatori infiammatori.
Il PPAR-gamma invece è richiesto per la normale differenziazione degli adipociti. In condizioni di normalità viene espresso nel fegato a livelli molto bassi ma in modelli animali con insulinoresistenza e steatosi epatica, l’espressione dei PPAR-gamma è marcatamente aumentata. Studi precedenti hanno dimostrato che la SREBP-1c può attivare la trascrizione dei PPAR-gamma, ed è stato suggerito che SREBP-1c può attivare i PPAR-gamma stimolando la produzione di un ligando attivatore per il recettore nucleare. L’importanza della espressione dei PPAR-gamma nello sviluppo della statosi epatica è stata dimostrata dallo sviluppo dalla delezione genica epatospecifica del PPAR-gamma in due modelli murini di insulino-resistenza, il topo Ob/Ob ed il topo transgenico lipodistrofico (AZIP/F-1). Il topo AZIP/F-1 presenta insulinoresistenza secondaria alla completa assenza del tessuto adiposo bianco e per il deficit di leptina. La delezione genica del PPAR-gamma epatico in questi modelli murini attenua marcatamente lo sviluppo di steatosi epatica indipendentemente dalla presenza di iperglicemia ed iperinsulinemia.
D’altra parte lo sviluppo di una classe di farmaci sensibilizzanti dell’insulina, i cosiddetti tiazolidinedioni, che agiscono legandosi ai PPAR-gamma ha aperto la strada a future applicazioni di questi farmaci nella terapia della NAFLD umana.
Progressione di malattia: dal grasso alla infiammazione
E’ chiaro sia dagli studi epidemiologici che dalla storia naturale, che solo una minoranza di pazienti con NAFLD progredirà dalla steatosi semplice fino alla steatoepatite, alla fibrosi e quindi alla cirrosi e al cancro epatocellulare. È necessario comprendere chiaramente i meccanismi che portano a tale progressione per poter attuare strategie di prevenzione e trattamento per i pazienti che hanno sviluppato o sono a rischio di sviluppare una malattia avanzata.
Dati da diversi studi pubblicati negli ultimi due anni, principalmente nel campo dell’insulino-resistenza, hanno iniziato a gettare luce sul legame tra la steatosi epatica, fino ad ora considerata una malattia metabolica pura, e l’infiammazione e lo sviluppo di insulino-resistenza associata all’obesità e al diabete mellito tipo 2.
Studi recenti in roditori con obesità genetica (ratti Zucker) o indotta da dieta lipidica ipercalorica (HFD) hanno chiaramente dimostrato che la steatosi epatica è associata con uno stato di infiammazione epatica cronica. In entrambi questi modelli vi è un aumento della attività epatica del fattore nucleare kB (NF-kB) e del suo attivatore IKKbeta. Il fattore nucleare kB è un fattore di trascrizione nucleare che funziona, durante il processo flogistico, come l’“interruttore generale” della infiammazione aumentando la trascrizione a livello genico di un ampio range di mediatori infiammatori. Pertanto l’aumentata attività del NF-kB nei fegati di questi modelli animali è associata con un’aumentata espressione di citochine infiammatorie, incluso il TNF-alfa, IL6 e IL-1beta e con l’attivazione delle cellule del Kupffer. L’inibizione epatocito-specifica del NF-kB attenua l’aumentata espressione genica e l’attivazione delle cellule di Kupffer in risposta ad una dieta lipidica ipercalorica. Inoltre il fenotipo HFD può essere riprodotto dalla espressione epatocito-specifica della IKK-beta; i topi con epatociti che esprimono IKK-beta esibiscono anche insulino-resistenza epatica e sistemica che può a sua volta essere attenuata dalla inibizione del NF-kB epatospecifica. Questo spiega il noto effetto inibitorio del TNF alfa, IL6 e IL-1beta sul signalling insulinico.
Questi studi dimostrano chiaramente che la steatosi epatica associata all’obesità è caratterizzata da aumentata produzione di citochine infiammatorie da parte degli epatociti, a sua volta secondaria alla stimolazione del NF-kB, con attivazione delle cellule di Kupffer ed insulino-resistenza epatica e sistemica. Questo meccanismo sembrerebbe pertanto giocare un ruolo primario nella progressione dalla steatosi alla steatoepatite. Infatti, le citochine coinvolte sono capaci di produrre tutte le classiche caratteristiche istologiche della NASH inclusa la necrosi/apoptosi degli epatociti (TNF alfa, TGF-beta), la chemiotassi neutrofila (IL-8), l’attivazione della cellula stellata epatica – HSC (TNF-alfa, TGF-beta) e la formazione di corpi di Mallory (TGF-beta).
Anche studi sull’uomo hanno dimostrato la presenza di aumentata espressione dei geni delle citochine nei fegati di pazienti con NASH in confronto con controlli obesi ma con fegato normale. In questi casi l’espressione genica correlava con la gravità istologica.
L’apoptosi è un meccanismo importante di morte cellulare nella NASH ed il TNF-alfa è un candidato particolarmente attraente nel mediare il danno epatico, data la sua abilità nell’indurre apoptosi negli epatociti in condizioni di stress ossidativo come nel fegato affetto da NAFLD.
Un ulteriore contributo all’infiammazione può essere dato dalle alterazioni del sistema immune innato intraepatico, secondarie alla produzione di citochine e alla attivazione delle cellule di Kupffer, come recentemente osservato nei topi HFD.
Il meccanismo preciso della attivazione epatica del NF-kB associato con la steatosi nel fenotipo HFD è ancora poco chiaro. Alcuni autori hanno suggerito un ruolo per i prodotti della perossidazione lipidica derivante dalla aumentata ossidazione degli acidi gassi liberi nei mitocondri. Uno studio recente ha anche chiaramente dimostrato che gli FFA possono attivare direttamente la via IKK-beta/NF-kB negli epatociti, attraverso un meccanismo lisosomiale dipendente dalla catepsina B, con translocazione di Bax ai lisosomi, loro successiva destabilizzazione e rilascio di catepsina B nel citosol. Questo successivamente porta alla attivazione del NF-kB, attraverso IKK-beta e successivo incremento della espressione del TNF-alfa. Usando un modello di NAFLD indotto da dieta ricca di saccarosio questi ricercatori sono stati in grado di dimostrare che la inattivazione genetica o farmacologica della catepsina-B protegge dallo sviluppo della steatosi epatica, del danno epatico, e della insulino-resistenza. È stato inoltre osservata una redistribuzione della catepsina-B dai lisosomi al citosol anche in fegati umani con NASH.
Anche gli FFA sono candidati come mediatori infiammatori nella NAFLD dal momento che la obesità centrale, in cui vi è come noto un aumentato rischio di NASH, è associata ad un’incrementata lipolisi del tessuto adiposo viscerale con eccessivo rifornimento epatico di FFA. Uno studio recente con l’uso di metodologia isotopica ha dimostrato che quasi due terzi del grasso epatico, in pazienti con NAFLD, deriva dagli FFA circolanti rispetto a grassi alimentari assorbiti dall’intestino o dalla lipogenesi de novo.
Un ulteriore potenziale legame tra steatosi, attivazione di NF-kB negli epatociti, danno epatico e insulinoresistenza nella NAFLD è stato suggerito da un recente ed elegante studio che dimostra che lo stress del reticolo endoplasmico è caratteristico della obesità genetica o alimentare (HFD) indotta nei topi. Il reticolo endoplasmico (ER) è una rete intracellulare di membrane che rappresenta un ambiente specializzato nel quale le proteine di membrane e quelle secretorie raggiungono un corretto ripiegamento, ad opera di “chaperoni”. Quando aumenta la domanda metabolica aumenta altresì il carico di lavoro del reticolo endoplasmico. Lo stress biologico dovuto all’eccesso lipidico e all’insulinoresistenza, l’ipossia e le infezioni virali possono alterare l’omeostasi del reticolo e innescare la cosiddetta risposta allo stress del reticolo che determina l’attivazione di un certo numero di fattori di trascrizione e di chinasi. Questo programma trascrizionale, la cosiddetta “Unfolded protein response “ (UPR) rallenta la sintesi delle proteine e ne promuove la degradazione. Se questa risposta è inadeguata, si attivano una serie di proteine, come parte della risposta al sovraccarico di lavoro del reticolo, che può condurre a insulinoresistenza (attraverso la via IRE1 e JNK1), apoptosi (attraverso la caspasi 12 nelle cellule murine e la caspasi 4 in quelle umane), infiammazione (attraverso NF-kB) e disfunzione mitocondriale (via BAP31). La prova che questa risposta giochi un ruolo anche nella NAFLD umana è al momento indiretta, sebbene lo stress dell’ER è stato riconosciuto come un importante meccanismo nella epatopatia alcolica.
Oltre alle citochine derivate dagli epatociti, almeno altri due meccanismi sono stati implicati nella attivazione delle cellule di Kupffer nella NAFLD. Primo, la “clearance” dei depositi lipidici ossidati nelle lipoproteine è una funzione importante delle cellule del Kupffer, attraverso la via del recettore “scavenger”. La combinazione di steatosi e stress ossidativo osservata nella NAFLD può quindi attivare le cellule del Kupffer attraverso questa via. Secondo, prove da modelli animali e umani con NASH suggeriscono che endotossine nel circolo portale, derivate dall’intestino, possono essere un ulteriore stimolo alla attivazione di queste cellule. Del resto, un’eccessiva crescita batterica nel piccolo intestino è stata dimostrata con certezza in pazienti obesi e diabetici ed attribuita ad alterazioni della motilità intestinale secondarie all’iperinsulinemia.
Inoltre recenti evidenze suggeriscono che il tessuto adiposo nella obesità sia caratterizzato da infiltrazione di macrofagi con associata infiammazione cronica, analogamente a quanto visto nel fegato, e che questa rappresenti un’ulteriore potenziale sorgente di citochine infiammatorie che può giocare un ruolo nella progressione di malattia. Lo stimolo preciso che porta alla attivazione dei macrofagi nel tessuto adiposo è sconosciuto, ma il rilascio di citochine da parte di adipociti metabolicamente “stressati”, lo “scavenging” macrofagico dei lipidi ossidati, e una endotossiemia sistemica possono rappresentare meccanismi importanti. La produzione delle classiche citochine pro-infiammatorie da parte di questi macrofagi del tessuto adiposo sembra giocare un ruolo nella insulino-resistenza sistemica correlata alla obesità, attraverso un effetto paracrino sugli adipociti e sulle cellule muscolari.
Nell’obesità comunque, livelli circolanti aumentati di leptina, una citochina derivata dagli adipociti, della classe delle “adipochine”, può giocare un ruolo nella progressione dalla steatosi alla NASH. La leptina stimola il rilascio dagli epatociti di osteopontina, una citochina proinfiammatoria Th1, e i topi knockout per osteopontina sono protetti dalla infiammazione epatica e dalla fibrosi nel modello di NASH indotto da dieta con deficit di metionina-colina (MCD).
Una riduzione nei livelli circolanti della adiponectina, una adipochina antinfiammatoria, nella obesità può anche contribuire alla progressione della NAFLD. Gli effetti antinfiammatori della adiponectina sono probabilmente correlati alla sua capacità di sopprimere la sintesi e l’azione del TNF. La somministrazione di adiponectina ricombinante nel modello murino Ob/Ob di NAFLD, attenua la epatomegalia, la steatosi e le anomalie biochimiche.
La riduzione nei livelli circolanti di adiponectina è stata osservata nella obesità e nel diabete tipo 2 ed è stata attribuita alla soppressione della sua sintesi dall’effetto paracrino del TNF-alfa rilasciato dai macrofagi del tessuto adiposo. Studi recenti nell’uomo dimostranti ridotti livelli serici di adiponectina e ridotta espressione epatica del suo recettore, RII, in pazienti con NASH a confronto con pazienti con analogo BMI e con steatosi, forniscono forti prove a supporto del fatto che la ridotta produzione adipocitaria di adinonectina possa giocare un ruolo importante nella patogenesi della NAFLD progressiva.
Riguardo al meccanismo della fibrosi epatica nella NAFLD è chiaro che i meccanismi della infiammazione e del danno epatocitario fin qui descritti conducono alla fine alla attivazione delle cellule stellate epatiche (HSC) con transizione dallo stato di quiescenza al fenotipo attivato miofibroblastico, con successiva deposizione di proteine della matrice extracellulare come parte della normale risposta di riparazione.
Inoltre un crescente corpo di evidenze supporta un ruolo per i mediatori non-necroinfiammatori, correlati alla obesità e alla insulinoresistenza, nella patogenesi della fibrosi epatica nella NAFLD. Un ruolo profibrogenetico diretto sulle HSC è stato dimostrato per la leptina, sia direttamente che attraverso la osteopontina, l’angiotensina II, la noradrenalina, tutte sostanze secrete dal tessuto adiposo ed aumentate nei pazienti obesi. Un ruolo fibrogenetico diretto per la iperinsulinemia e l’iperglicemia associate alla insulinoresistenza è stato suggerito da studi che dimostrano che la sintesi del fattore di crescita fibrogenetico, CTGF (connettive tissue growth factor), nelle HSC è sovra-regolato dal glucosio e dalla insulina. La ridotta produzione di adiponectina associata alla obesità può anche contribuire allo sviluppo della fibrosi epatica dal momento che essa appare esercitare potenti effetti anti-fibrotici. Per di più oltre la fibrosi, dato il ruolo emergente della infiammazione e del NF-kB nella carcinogenesi, sembra probabile che lo stato di infiammazione cronica associato alla steatosi contribuisca anche allo sviluppo dell’epatocarcinoma, ben stabilita complicanza di NAFLD avanzata.
Conclusioni
Negli ultimi anni, abbiamo assistito ad un progresso sostanziale nella conoscenza dei meccanismi molecolari che causano la steatosi epatica nell’animale da esperimento. Sono stati identificati numerosi fattori di trascrizione che controllano il metabolismo epatico dei lipidi. La migliore comprensione delle alterazioni fisiopatologiche che portano alla steatosi epatica nel topo permetteranno ora studi diretti nell’uomo.
Questi nuovi studi forniranno approfondimenti sul legame tra steatosi epatica, infiammazione, fibrosi ed epatocarcinoma e suggeriranno nuove linee di ricerca in questa malattia in continuo aumento.
I tiazolidinedioni, classe di farmaci sensibilizzanti dell’insulina, possono esercitare la loro azione benefica. oltre che per l’azione sui PPAR-gamma, anche attraverso un effetto anti-infiammatorio sui macrofagi, con riduzione della produzione di citochine induttrici di insulinoresistenza e conseguente aumento della produzione di adiponectina da parte degli adipociti.
Per il futuro IKK-β/NF- κB, catepsina B, osteopontina e la risposta del reticolo endoplasmico allo stress appariranno come bersagli razionali del trattamento, sebbene siano richieste ulteriori prove, per il loro ruolo nella patogenesi della NAFLD umana, prima di poter giustificare studi pilota. Comunque la inibizione sistemica dell’IKK-β con alte dosi di acido acetilsalicilico ha già dimostrato di migliorare la glicemia, la sensibilità insulinica e l’iperlipemia in pazienti con diabete tipo 2.
Queste nuove conoscenze sulla patogenesi della malattia potranno anche favorire una migliore comprensione della base della evidente variabilità interindividuale nella suscettibilità alla NAFLD avanzata. Studi familiari ed etnici suggeriscono un ruolo per fattori genetici ed evidenziano nuovi geni candidati, meritevoli di studio nell’ambito delle associazioni alleliche.
La questione maggiormente irrisolta è quella sulla natura della relazione tra steatosi epatica semplice e NASH. Sono necessari studi longitudinali per definire la vera storia naturale della NAFLD e per delineare i componenti chiave della progressione di malattia attraverso lo sforzo combinato dei ricercatori di base e dei ricercatori clinici. La conoscenza dei meccanismi molecolari che sottendono lo sviluppo della NASH faciliterà lo sviluppo di interventi specifici allo scopo di prevenire la progressione della NAFLD.
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