IL VALORE DEL RISCONTRO DIAGNOSTICO
NELLA MEDICINA INTERNA MODERNA
A. PLACIDO (Dirigente U.O.C. Medicina Interna, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma)
La storia del Riscontro Diagnostico
A. VALENTI (Dirigente U.O.C. Medicina Interna, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma)
La decadenza del Riscontro Diagnostico
V. PIGNATELLI (Dirigente U.O.C. Medicina Interna, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma)
È utile il Riscontro Diagnostico in Medicina? Risultati di uno studio retrospettivo all’Ospedale Santo Spirito
F. TIRATTERRA (Dirigente U.O.C. Medicina Interna, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma)
Il Riscontro Diagnostico ha un futuro in Medicina?
Simposio “Il valore del riscontro diagnostico nella Medicina Interna moderna”.
Moderatore: U. Recine
“La storia del riscontro autoptico” A. Placido
Dalla notte dei tempi l’uomo si è rapportato con la morte e col corpo dei defunti. L’approccio con quest’ultimo si è modificato nel tempo: da oggetto di esclusiva venerazione si è trasformato a oggetto mistico e solo in ultimo oggetto di studio prima in mano a filosofi - naturalisti e, successivamente, ad anatomisti e medici. E’ nota a tutti la pratica della mummificazione presso gli Egiziani dapprima riservata ai Faraoni e successivamente a coloro che potevano permetterselo. Da li le prime notizie sulla struttura del corpo umano, derivate pertanto da osservazioni fatte non da praticanti la medicina ma da” tecnici” che si limitavano ad eseguire lo “svuotamento” dei corpi e non uno studio sistematico come possiamo intenderlo oggi. Gli operai della “città dei morti” poi erano ritenuti impuri e contaminati dalla vicinanza e manipolazione delle salme, per cui non erano particolarmente ben visti al di fuori dell’ambiente lavorativo. In seguito le prime notizie sulla dissezione risalgono al VI° secolo a.C. con Alcmeone di Crotone che sembra sia riuscito a identificare il nervo ottico, senza però capirne il significato. Con la scuola di Alessandria, III° sec a. C., Erofilo ed Erasistrato praticando dissezioni e vivisezioni, sono considerati i capostipiti degli studi anatomici. Nella Roma dei fasti, una notizia in particolare ci viene trasmessa da Svetonio, quella riguardante la morte di Cesare con l’autopsia eseguita dal medico Aristione che identificò nella 2° ferita quella letale tra le 23 riscontrate. Aulo Cornelio Celso,descrittore dei quattro sintomi cardine dell’infiammazione (tumor dolor calor rubor), scrisse un Proemio, De Medicina: una sintesi della storia della medicina fino ai suoi giorni (14 a.C. – 37 d.C.) che si sofferma in particolar modo sulle due scuole mediche contrapposte: gli empirici e i dogmatici o razionali. I primi sono assolutamente contro la dissezione e per curare si basano sull’esperienza appresa osservando le diverse malattie e gli effetti dei “farmaci”. I secondi sono favorevoli alla dissezione in quanto credono che l’esperienza e la pratica non siano sufficienti a curare le malattie senza aver prima acquisito una buona conoscenza dei vari organi e della loro funzionalità.
Galeno, celebre medico dell’epoca imperiale romana, sarà il riferimento indiscusso nei secoli successivi per tutti coloro che si sarebbero occupati dello studio del corpo umano. Prestando la sua opera tra i gladiatori, divenne esperto di traumi e ferite, e, in seguito medico personale di Marco Aurelio, ma i suoi studi si svolsero principalmente sulle scimmie, ritenute gli animali più simili all’uomo, Nonostante questo limite le indicazioni di Galeno furono prese per oro colato, facendo ritenere per lungo tempo inutile la dissezione ”tanto era già stato scritto tutto”. Con l’istituzione delle Università su autorizzazione papale o imperiale (Bologna, Padova, Napoli), l’autopsia ritorna in auge grazie ad un anatomista di Bologna, Mondino dei Liuzzi, che senza mettere in discussione il dogma di Galeno, ripresentava la pratica come verifica dello stesso. L’impostazione della lezione prevedeva la presenza di tre figure: il medico sullo scranno (lector) che leggeva il testo galenico o, dopo il 1316, il testo di Mondino, il traduttore dal latino al volgare (ostensor) che guidava l’operatore effettivo (sector), generalmente un barbiere o un chirurgo. Seguiva la discussione (disputatio). Le incisioni presenti sui frontespizi (prima su legno e poi su rame) danno però un’immagine non corretta di chi in realtà conducesse la lezione che in effetti veniva guidata dal professore d’anatomia ,l’ostensor, mentre il lector era reclutato tra i docenti più giovani (straordinari).Esistevano due tipi di lezione: privata, che si svolgeva per lo più in casa dell’anatomista, pagata da un gruppo di studenti, e pubblica a cui partecipavano anche personaggi importanti della società, che si trasformerà alla fine quasi in evento mondano.
Ma per il vero cambiamento bisogna attendere ancora quasi due secoli con Andrea Vesalio. Fiammingo, Andreas Wan Wesel, (il padre era farmacista di Carlo V) studia a Parigi e poi a Padova, e diventa assertore della necessità che anatomista e medico coincidano. La rivoluzione è il metodo, il verbo galenico sarà in larga parte confutato (250 punti) nella sua opera” De humani corporis fabrica” del 1543, senza però attaccare la concezione galenica del movimento del sangue, anche se la demolì, dimostrando che non esisteva il circolo mirabile né pori nel cuore, ma lì si fermò. I suoi successori furono illustri maestri, a Bologna e a Padova, come Malpighi (globuli rossi, glomeruli renali, capillari), Falloppio, Girolamo Fabrici d’Acquapendente che a sue spese farà costruire il primo teatro anatomico a Padova, tuttora visibile, a sua volta maestro di William Harvey; Valsalva allievo di Malpighi e maestro di colui che porrà le basi dell’anatomia patologica moderna con la sua monumentale opera “De sedi bus et causis morborum per anatomen indagatis” del 1761 che sarà tradotta successivamente in tutte le lingue, per ultima l’italiano, Giovanni Battista Morgagni. Con lui paradossalmente si rivaluta la triade alessandrina : storia clinica, autopsia, diagnosi clinica. L’800 porterà in tutta Europa la diffusione della pratica anatomica, e l’anatomia patologica si staccherà più decisamente dall’anatomia e dalla medicina clinica, grazie anche a nomi a noi noti dai libri, Cruvailher a Parigi, von Rokitanski a Vienna, Virchow a Berlino. Anche l’Italia fa la sua parte con Amico Bignami e, più recentemente, Antonio Ascenzi . L’ingeneroso giudizio di Alexandre Dumas sui medici “Introducono sostanze che non conoscono in un corpo che conoscono ancor meno” può considerarsi ottimamente confutato da questa lunga storia che non ha ancora scritto la parola fine.
“La decadenza del riscontro autoptico”
A. Valenti
L’autopsia è ritenuta l’esame clinico più accurato per definire la causa di morte, consente di valutare la precisione della diagnosi clinica ed è estremamente utile nel percorso formativo degli studenti in medicina e dei medici. Tuttavia, nel corso degli ultimi 50 anni il ricorso all’autopsia è divenuto sempre meno frequente; il tasso autoptico inteso come rapporto tra il numero delle autopsie effettuate e il numero totale dei decessi è nettamente diminuito negli ospedali di tutto il mondo.
In istituti accademici americani quali la Mayo Clinic di Rochester e il Brigham and Women’s Hospital di Boston il tasso autoptico è passato dal 75-80% nel 1960 a circa il 20% nel 2005 (1-2).
La percentuale complessiva di autopsie eseguite negli ospedali statunitensi non supera ormai l’11-15%; in Italia, il tasso autoptico di sei ospedali della regione Piemonte negli anni 1995-97 era compreso tra il 7 e il 13% (3).
All’inizio degli anni ’90, in Gran Bretagna era stato stabilito un tasso autoptico del 30% come criterio di valutazione per la qualità delle cure di un’istituzione (4). Attualmente, nessun paese del mondo compresi gli Stati Uniti, richiede un numero minimo di autopsie per una procedura di accreditamento di un’istituzione sanitaria.
Le cause della decadenza del riscontro autoptico sono molteplici e possono essere così riassunte (5):
● Motivi legislativi
● Costi
● Scarsa motivazione e preparazione del clinico a richiedere il consenso dei parenti
● Paura del clinico di essere coinvolto in dispute medico-legali
● Motivi socio-culturali e atteggiamento negativo della popolazione
● Scetticismo dei medici sul valore di un’autopsia
La legislazione italiana non prevede l’obbligo di ottenere il consenso dei familiari prima dell’esecuzione dell’autopsia; nei paesi come la Francia dove è stato introdotto il consenso obbligatorio si è avuto un netto calo dell’attività autoptica.
I piani di rientro regionali con la necessità di ridurre le risorse economiche in sanità, hanno portato a privilegiare gli investimenti e l’attenzione sui percorsi diagnostici del vivente contribuendo al progressivo declino dell’autopsia.
Inoltre, il timore dei medici di essere coinvolti in cause medico-legali per diagnosi mancate o errate e l’atteggiamento negativo della popolazione che spesso interpreta l’autopsia come inutile e deturpante pratica che aumenta la sofferenza dei congiunti, oltre che comportare un ritardo del rito funebre, hanno contribuito a determinare l’attuale netto calo del ricorso all’esame autoptico nella quasi totalità degli ospedali.
L’acquisizione di nuove tecnologie di immagine quali la Tomografia assiale computerizzata , la Risonanza Magnetica, gli ultrasuoni, la PET e la maggiore accuratezza delle indagini di laboratorio hanno comportato una definizione diagnostica sempre piu’ sofisticata nella comune pratica clinica; tutto ciò ha determinato tra i medici uno scetticismo crescente nei confronti dell’autopsia come strumento utile a migliorare l’accuratezza diagnostica.
Tuttavia, numerosi studi pubblicati in letteratura (6-8) continuano a dimostrare significative discrepanze tra diagnosi clinica e diagnosi autoptica; il tasso di discrepanza tra diagnosi clinica e diagnosi autoptica registrato negli anni 60-70, prima dell’avvento delle moderne tecniche di acquisizione di immagine è rimasto pressoché invariato nel tempo nonostante il comune uso di tali tecnologie.
“E’ utile il riscontro diagnostico in Medicina?”
V. Pignatelli
Numerosi studi hanno dimostrato l'importanza del riscontro autoptico nell'evidenziare errori di diagnosi. Ne abbiamo selezionati alcuni che riportano elevati tassi di discrepanza tra la diagnosi clinica e la diagnosi autoptica.
Uno studio di C.M. Aalten et al. (6) del 2005 svolto nel Dipartimento di Medicina- Geriatria dell’University Medical Centre Utrecht ha analizzato 331 pazienti deceduti, di cui 93 sottoposti ad autopsia (tasso autoptico 28,4%). In questa popolazione 45 erano maschi e 48 femmine. L'età media era 81,6 anni (60-102). In base alla classificazione di Goldman (9) sono risultati 17 (18,3% ) errori di tipo 1 (diagnosi principale discrepante, l'identificazione della quale avrebbe potuto avere influenza sulla sopravvivenza) e 19 (20,4%) di tipo 2( diagnosi discrepante l'identificazione della quale non avrebbe potuto avere influenza sulla sopravvivenza). Le diagnosi autoptiche errate di classe 1 erano: embolia polmonare, infezioni, infarto intestinale, rottura di aneurisma aortico, tumore maligno, ostruzione tracheale, pancreatite acuta .
Un altro studio(8) di Kotoviz F et al. svolto presso l’ospedale universitario di S Paolo (Brasile) ha esaminato 288 (156 maschi e 130 femmine) pazienti deceduti e sottoposti ad autopsia tra il 2001 e il 2003. I pazienti provenivano da tutti i reparti comprese le unità di terapia intensiva. Le diagnosi discrepanti maggiori secondo la classificazione di Goldman sono state 16.3% (9,7% classe 1 , 6,6% classe 2). Le principali diagnosi errate erano: embolia polmonare, broncopolmonite, infarto del miocardio e sepsi. Lo studio sottolinea che l’età elevata dei pazienti aumenta il rischio di diagnosi errate e cosi’ anche una breve durata della degenza (pazienti deceduti entro 24 h dall’ingresso).
Una metanalisi di Roulson J et al. (10) pubblicata su Histopatology 2005 conferma che circa un terzo delle diagnosi di morte erano errate. La metanalisi analizza studi pubblicati tra il 1980 e il 2004. Inoltre viene segnalata una diversa percentuale di discrepanza tra pazienti chirurgici e pazienti medici. Il tasso di discrepanza è particolarmente elevato nelle diagnosi di complicanze post- intervento. Solo due studi sono stati svolti su pazienti medici: uno riporta un tasso di discrepanza per la diagnosi principale del 25% su 143 casi, mentre l’altro del 35% su 152 casi sempre riferito alla diagnosi principale. Le maggiori diagnosi risultate errate in ordine di frequenza, sono state: cardiovascolari (scompenso cardiaco, infarto del miocardio), polmonari (embolia polmonare, broncopolmonite) e sepsi.
Anche un recente studio svolto su pazienti medici in un ospedale romano ha dimostrato la persistenza di un certo grado di discrepanza tra diagnosi clinica pre-mortem e diagnosi autoptica (10).
Conclusioni: Il continuo miglioramento delle tecnologie diagnostiche non elude la possibilità dell’errore. Le tecnologie diagnostiche non possono sostituire l’accuratezza di un referto istopatologico completo per identificare con certezza la causa di morte.
.Il riscontro autoptico è un valore aggiunto di conoscenza che permette di migliorare la diagnosi.
“Il riscontro diagnostico ha un futuro in Medicina Interna?”
F. Tiratterra
Il crollo dell’uso del riscontro autoptico in Medicina è un dato incontrovertibile.
E’ diffusa l’impressione che l’enorme evoluzione tecnologica degli ultimi decenni abbia reso la diagnostica per immagini e gli esami di laboratorio ampiamente adeguati per fare diagnosi precise. Numerosi studi (2-8, 10,11) hanno però dimostrato che un consistente numero di errori diagnostici continua ad essere evidenziato dal riscontro autoptico.
Ciò pone il quesito se vi sia un eccesso di credulità dei clinici medici nel potere delle attuali tecnologie oppure se la pratica dell’autopsia diagnostica sia destinata ad essere abbandonata. In merito alla questione che costituisce il titolo della presente relazione, “Il riscontro diagnostico ha un futuro in Medicina Interna?”, vi sono almeno tre elementi rilevanti che supportano la sopravvivenza dell’autopsia diagnostica nei prossimi anni.
Il primo è che essa svolge un ruolo fondamentale nella formazione dei medici. Vi è un ampio accordo nella letteratura (12-13) relativo al contributo insostituibile che l’autopsia svolge non solo nel percorso formativo di studenti in medicina e giovani medici, ma anche nella formazione permanente del clinico. L’importante azione educazionale del riscontro diagnostico è nota a qualunque clinico abbia vissuto personalmente l’esperienza di assistere ad un esame autoptico che, rivelando diagnosi inattese, ha aumentato le proprie conoscenze in modo spesso indelebile, e lo ha motivato ad uno studio approfondito innescato dalla diagnosi imprevista.
Il secondo è quello di essere una procedura indicativa di qualità del percorso diagnostico-terapeutico. E’ opinione ampiamente condivisa che il riscontro diagnostico sia un formidabile strumento per l’audit clinico e, quindi, per il controllo di qualità. Inoltre la richiesta dell’esame autoptico da parte del medico evidenzia la sua disponibilità a fare chiarezza.
Per comprendere l’importanza fondamentale della terza motivazione che sostiene la opportunità della sopravvivenza dell’autopsia è necessario introdurre il concetto di errore in Medicina. Numerose sono le pagine delle opere di metodologia clinica dedicate all’errore. Nel Dizionario classico di medicina interna ed esterna pubblicato nel 1833 alla voce “Errore” si legge: ”Non essendo la medicina una scienza di calcolo, né una scienza soltanto descrittiva, e possedendovi il ragionamento una parte tanto importante quanto i fatti, formicola essa di errori per causa della nostra ignoranza sopra l’infinito numero di particolarità”. All’inizio del secolo scorso il celebre clinico medico Augusto Murri annota “per la formazione di un retto criterio medico sarebbe di beneficio incalcolabile una cattedra di storia della medicina, o, meglio, degli errori medici; l’esame critico di questi errori costituirebbe il più utile insegnamento di logica medica”. Tra i contributi più importanti dedicati al ruolo degli errori in Medicina vi sono alcuni scritti di Karl Popper che era profondamente affascinato dai rapporti tra filosofia e scienza. La tesi di fondo di una delle sue opere è che “La nostra conoscenza si accresce nella misura in cui impariamo dagli errori”. Nel 1983, insieme a Neil McIntyre, Popper pubblicò un articolo sul British Medical Journal intitolato “The critical attitude in medicine: the need for a new ethics” (14) nel quale viene auspicato che i medici possano imparare non solo dai propri errori, ma anche da quelli degli altri. Inoltre gli autori affermano che in una “nuova” etica professionale uno dei principi debba essere quello di “imparare
dai nostri errori per evitarli in futuro, e questo dovrebbe avere la precedenza anche rispetto all’acquisizione di nuove informazioni”. Ogni paziente quando si affida ad un medico pone il criterio dell’esperienza tra i requisiti fondamentali che il clinico deve possedere per essere scelto.
Il termine “esperienza” è strettamente connesso a quello di “errore”. Infatti una definizione molto appropriata di esperienza clinica è: la somma degli errori riconosciuti.
Dunque la terza e capitale motivazione che rende ancora attuale l’autopsia diagnostica è che essa offre la possibilità di imparare dai propri errori.
In conclusione, attualmente tassi autoptici superiori al 20-30% non sono più proponibili al di fuori di cliniche universitarie ma l’emarginazione della pratica autoptica dall’iter diagnostico ospedaliero non è giustificata alla luce di numerosi studi che concordemente documentano il persistere di un certo grado di discrepanza tra diagnosi clinica ed autoptica. Nei casi con diagnosi dubbia, nonostante l’utilizzazione delle tecnologie diagnostiche più evolute, è opportuno ricorrere al riscontro autoptico.
Bibliografia*
1. Hooper JE, Geller SA. Relevance of the autopsy as a medical tool. A large database of physician attitudes. Arch Pathol Lab Med 2007, 131:268-74
2. Shojania KG, Burton EC. The vanishing nonforensic autopsy. N Engl J Med 2008, 358:873-75
3. Panella M, Kozel D, Marchisio S, Sarasino D et al. Autopsy today: obsolete practice or an instrument for improving the quality of health care? Pathologica 2000; 92: 58-64
4. Joint Working Party of the Royal College of Pathologists, Royal College of Physicians of London, the Royal College of Surgeons of England. The autopsy and audit. London: Rcpath, RCP, RCS. 1991
5. Mazzucchelli L, Soldini D. Autopsia medica: una pratica in via d’estinzione? Tribuna medica ticinese 2008; 435-443
6. Aalten CM, Samson MM, Jansen PAF.Diagnostic errors; the need to have autopsies. Neth J of Medicine: 2006;64:186-190
7. Tavora F, Crowder CD, Sun C, Burke AP. Dicrepancies between clinical and autopsy diagnoses: a comparison of university, community, and private autopy practices. Am J Clin Pathol 2008; 129:102-109
8. Kotovicz F, Mauad T, Saldiva P. Clinico-pathological discrepancies in a general university hospital in Sao Paulo, Brazil. Clinics 2008; 63(5): 561-568
9. Goldman L, Sayson R, Robbins S, Cohn LH, Bettmann M,Weisberg M. The value of the autopsy in three medical eras. N Engl J Med 1983;308(17):1000-5.
10. Roulson J, Benbow E W, Hasleton PS. Discrepancies between clinical and autopsy
diagnosis and the value of post mortem histology; a meta-analysis and review. Histopathology 2005; 47: 551-559
11. Tiratterra F, Pignatelli V, Placido A, Recine U. Value of autopsy in Internal Medicine: discrepancies between clinical and post-mortem diagnosis. Italian Journal of Medicine 2012 (in press).
12. G. O’Grady Death of the teaching autopsy. Br Med J 2003; 327:802-4.
13. Durning S, Cation L The education value of autopsy in a residence training program. Arch. Intern Med. 2000; 160: 997-999.
14. McIntyre N, Popper K The critical attitude in medicine: the need for a new ethics. British Medical Journal 1983; 287:1919-1923.
*La bibliografia è relativa complessivamente a tutte le relazioni
Per la corrispondenza:
Dott. Fabrizio Tiratterra U.O.C. Medicina Interna, Ospedale Santo Spirito in Sassia, Roma