IL TRAPIANTO DI RENE

 

Franco Citterio, Evaldo  Favi,  Marco Castagneto

 

Dipartimento di Chirurgia

Università Cattolica del Sacro Cuore  Roma

e-mail:  citterio@rm.unicatt.it

 

 

Il sogno di sostituire un organo malato con uno sano ha affascinato l ‘uomo da almeno tre millenni , come testimonia la mitologia di tutte le culture. Nel dodicesimo secolo A.C. il dio indù Shiva trapiantò la testa di un elefante su Ganesha il dio indù della saggezza e della forza. Nel VI secolo A.C. il Profeta Ezechiele nel vecchio testamento prometteva : “ Io ti darò un nuovo cuore e un nuovo spirito, toglierò dalla tua carne il cuore di pietra e ti metterò un cuore di carne ‘’.    Il medico cinese Pien Ch ‘ iao attorno al 430 A.C. curò Ch’ i Ying affetto da forte spirito ma da debole volontà, trapiantando il cuore di Kung He affetto dal contrario, riportando in equilibrio lo stato energetico dei due uomini. Nel IV secolo D.C., in Occidente, i Santi Cosma e Damiano trapiantarono la gamba nera di un gladiatore etiope, appena sepolto dopo un combattimento al Colosseo, al posto di quella gangrenosa del diacono Justiniano, sacrestano di una chiesa romana. Essi furono i primi a utilizzare un organo prelevato da un cadavere. Dovettero poi passare ben XVI secoli prima che il miracolo compiuto dai Santi Cosma e Damiano potesse diventare una procedura non miracolosa. Infatti, solo cinquant‘anni fa, il 23 dicembre del 1954, fu eseguito a Boston al Peter Bent Brigham Hospital da J. P. Merril e J. E. Murray,  il primo trapianto renale da donatore vivente. Nasceva allora una delle più affascinanti branche della moderna medicina: la Trapiantologia.  In quel momento si coronavano gli sforzi di cinquanta anni di sperimentazione da parte di scienziati che avevano cercato la soluzione ai problemi  tecnici e biologici che sono alla base della Trapiantologia: l’atto chirurgico e la risposta immunitaria. Le basi per la soluzione delle problematiche chirurgiche erano state poste da Alexis Carrel nel 1902, con la descrizione della tecnica della anastomosi vascolare . Già allora Carrel riconobbe la fondamentale importanza del problema biologico nel successo del trapianto. Infatti in un articolo pubblicato su Scienze nel 1905, Carrel già descriveva la diversa capacità di un rene omologo autotrapiantato rispetto ad uno allotrapiantato nel mantenere una sufficiente funzione renale in un animale anefrico e, testualmente commentava : ‘’ I problemi tecnici del trapianto d ‘ organo sono ormai risolti, ma dal punto di vista biologico siamo ancora molto lontani , perchè le complesse interazioni tra l ‘ ospite e l ‘organo trapiantato sono praticamente sconosciute ‘’.  Negli anni successivi, parallelamente all’approfondirsi delle conoscenze biologiche mediante lo studio della reazione di rigetto nell‘organismo ospite con gli studi di Medawar e mediante l ‘ identificazione degli antigeni maggiori dell ‘Istocompatibilità da parte di Dausset , si andò maturando l ‘ esperienza clinica, con i primi tentativi di trapianto renale in pazienti uremici destinati altrimenti alla morte, per l’assenza del trattamento dialitico sostitutivo. Questi eroici ed intrepidi tentativi nell‘uomo aiutarono la messa a punto e la soluzione dei problemi di tecnica chirurgica del trapianto renale. Il maestro di Carrel, Jabulay, per primo tentò nel 1906 un trapianto renale nell’uomo utilizzando la tecnica di anastomosi vascolare di Carrel con tre suture continue, tra loro separate. Unger nel 1909 in Berlino suturò un rene di scimmia ai vasi femorali di un paziente uremico. Il russo Voronoy nel 1936 eseguì una serie di trapianti renali , seguiti da breve periodo di funzionalità, anastomizzando i vasi renali ai vasi femorali del ricevente a livello della coscia, nel tentativo di curare pazienti affetti da insufficienza renale acuta da avvelenamento da mercurio. Nel 1945 a Boston, Landstainer e Hume anastomizzarono i vasi renali ai vasi della piega del gomito, senza successo.  Nel 1950 Lawler descrisse il primo trapianto renale ortotopico con anastomosi vascolare tra i vasi renali ed anastomosi ureterale con l‘uretere del ricevente, anche questo fu un tentativo senza successo.  Nel 1950 Hume inizio una serie di trapianti da cadavere con funzionalità variabile dai 38 ai 160 giorni, anastomizzando i vasi renali ai vasi femorali all’inguine del ricevente e collegando l‘uretere alla cute con un‘uretero-cutaneostomia.  Negli stessi anni (1950 ) , Murray, Merril ed Harrison, sfruttando le nuove acquisizioni in campo genetico ed utilizzando la loro esperienza con la via extra- peritoneale, acquisita in interventi urologici, effettuarono il primo trapianto renale tra gemelli omozigoti senza immunosoppressione. Essi anastomizzarono in fossa iliaca l‘arteria renale all’arteria iliaca esterna , con un’anastomosi termino- laterale; l‘uretere fu anastomizzato aprendo la vescica con una cistotomia mediana, e, dopo una tunnellizzazione obliqua dell’uretere nella tonaca muscolare e nella tonaca sottomucosa della vescica, suturando la mucosa dell’uretere alla mucosa della vescica. Il trapianto funzionò immediatamente e per nove anni successivamente fino alla morte del paziente. Da allora la tecnica chirurgica del trapianto renale ha subito poche modifiche e non sostanziali. Messa a punto la tecnica chirurgica, il successo, il numero e il tipo dei trapianti eseguiti sono dipesi dalla capacità di controllare efficacemente la reazione di rigetto, con una adeguata terapia immunosoppressiva.

Oggi, Il trapianto renale è il trapianto più frequentemente eseguito in Italia e nel mondo, per l’alto grado di successo che ne  ha aumentato a dismisura la richiesta.

Infatti, tutti i pazienti con insufficienza renale terminale vanno oggi considerati potenziali candidati da avviare al trapianto.  Le uniche contro-indicazioni assolute sono la presenza di una neoplasia non curata radicalmente da almeno due anni, salvo casi particolari, la presenza di uno stato settico non controllato, una via urinaria escretrice non correggibile.

Il trapianto renale quando ha successo offre la migliore riabilitazione al paziente, e prolunga la vita del paziente rispetto al trattamento emodialitico o dialitico peritoneale.

Non vi è dubbio che un‘accurata valutazione clinica pre-operatoria sia la premessa fondamentale per individuare i fattori di rischio presenti ed eventualmente realizzare gli opportuni provvedimenti terapeutici che consentiranno di ottimizzare i risultati del trapianto renale. Una volta posta l’indicazione al trapianto di rene, per il paziente si aprono oggi  due strade: quella del  trapianto da donatore vivente e quella del trapianto da donatore  cadavere. Nel primo caso il paziente ha di fronte a sé l’opportunità di avere rapidamente un organo la cui funzione sarà certamente superiore a quella ottenibile con un trapianto da donatore cadavere.  Nel caso il paziente voglia o debba optare per  il trapianto da donatore cadavere, viene inserito in una lista d’attesa, la cui durata dipende essenzialmente dal numero di donatori disponibili e dal reperimento di un donatore compatibile : la permanenza in attesa non è prevedibile e il preannuncio del trapianto avviene pochissime ore prima del trapianto stesso , in qualunque momento della notte,  del giorno o dell‘anno .  Più programmabile è invece il trapianto da donatore vivente : il paziente e il suo donatore, dopo la fase di studio che evidenzia la compatibilità e l ‘ idoneità a donare ed a ricevere, possono programmare il momento del trapianto in base alle loro esigenze.  La legge italiana consente oggi il trapianto da donatore vivente tra soggetti consanguinei o non consanguinei, imparentati o non imparentati. L’unico limite è l’atto di donazione, che deve essere totalmente libero, senza alcun condizionamento o patto economico.  Il trapianto di rene è dunque una realtà clinica, capace di guarire e reinserire pienamente nella società un malato cronico.