Trattamento chirurgico del tumore del seno: il ruolo del chirurgo senologo nelle Unità Multidisciplinari.

 

Vittorio Altomare

 

 

L’incidenza del tumore al seno è aumentata del 25% nell’ultima decade e di paripasso sta crescendo l’importanza della figura dello specialista senologo, cui le donne si rivolgono sempre di più, come a un solido punto di riferimento. Le motivazioni di questa “dedizione” vanno ricercate nello sempre maggiore consapevolezza del rischio di ammalarsi e della disponibilità di opzioni chirurgiche sempre più all’avanguardia.

Nell’iter diagnostico-terapeutico del tumore al seno si è passati da un approccio strettamente specialistico ad uno olistico e multidisciplinare, con conseguente miglioramento sia delle opzioni diagnostiche che di quelle terapeutiche (siano esse mediche o chirurgiche), con sempre maggiori aspettative da parte delle pazienti e degli stessi chirurghi; tutto ciò si traduce nella necessità di ottimizzare la cosmesi, nel mantenimento della radicalità oncologica e dell’equilibrio psichico.

In tal senso, il chirurgo ha la grossa responsabilità in termini di “quality measures” per il miglior trattamento possibile per quella paziente, occupando un ruolo centrale, sia per quel che concerne la patologia benigna che quella maligna, in un approccio assolutamente personalizzato.

Ne consegue che la chirurgia senologica non si può fare se non nell’eccellenza e che la centralizzazione del carcinoma mammario è ormai materia prioritaria al fine di migliorare la qualità delle cure; in letteratura numerosi studi hanno confermato che esiste una forte associazione tra strutture/chirurghi ad alto volume e aumento della sopravvivenza nel tumore al seno. A tal proposito è bene ricordare come la commissione dell’Unione europea ha addirittura emanato una risoluzione che “Chiede che tutte le donne affette da carcinoma della mammella abbiano il diritto di essere curate da una equipe interdisciplinare e invita pertanto gli stati membri a sviluppare una rete capillare di centri di senologia certificati e interdisciplinari, che debbano soddisfare a criteri di qualità.”

Pertanto, il modello tradizionale di chirurgo generale con un interesse per la patologia mammaria deve necessariamente lasciare il posto ad una nuova figura, il chirurgo oncoplastico, dotato di “cross-specialty skills” mutuate dalla chirurgia e oncologica e plastica, che lavora all’interno di una rete che si allarga ad annodare relazioni con altri professionisti.

 

Nonostante la cultura della “tuttologia” ha ritenuto, in passato, che la superspecializzazione fosse

una limitazione delle proprie competenze, si tratta in realtà di un affinamento delle proprie attitudini da porre al servizio di una equipe multispecialistica con cui sviluppare, aggiornare e condividere atteggiamenti, procedure e protocolli in una comunione di obiettivi.

Purtroppo oggi, nella maggioranza dei casi, la patologia mammaria confluisce in un’organizzazione contestualizzata nella radiologia, nella chirurgia o nell’oncologia e viene generalmente trattata individualmente, senza alcun coordinamento, attribuendo solo all’iniziativa personale i rari casi di collaborazione interdisciplinare.

Inoltre, la gestione superspecialistica delle donne affette da carcinoma mammario per tutti gli anni che seguono la diagnosi si traduce sul piano economico in una riduzione dei costi da parte del sistema sanitario nazionale e sul piano sociale ad un beneficio per le donne che si riappropriano del  proprio ruolo nella famiglia, nel lavoro e nella società.

 

 

Prof. Vittorio Altomare, Direttore Area di Senologia, Policlinico Universitario

Campus Bio-Medico, Roma